È recidivo, Giuseppe Conte. Così come non nominò la scuola nel suo primo discorso di insediamento come presidente del Consiglio – era il 5 giugno del 2018, e il governo era gialloverde – così non lo fa nemmeno nel discorso del 26 aprile 2020, quello che annuncia in diretta televisiva la fine della più lunga quarantena collettiva della Storia italiana. Meglio: lo fa perché sollecitato dalla domanda di un giornalista, dopo aver parlato di funerali, sport individuali e centri massaggi, come ha giustamente rilevato Francesco Luccisano in un tweet.
Può sembrare una dimenticanza banale, di fronte a un lockdown che inciderà come un machete nella testa e nella pancia di una nazione che comincia ad accorgersi ora dei danni devastanti che la pandemia provocherà sul suo benessere individuale e collettivo. E di quanto questi danni siano figli in egual misura almeno del Coronavirus e nella nostra incapacità di gestire l’emergenza con lungimiranza e visione.
Lungimiranza e visione, per l’appunto. A questo sarebbero dovute servire le diverse task force che il governo ha insediato in queste ultime settimane. E soprattutto da Vittorio Colao e dal suo gruppo di lavoro – illusi noi – ci saremmo aspettati l’invito a costruire il Paese che riparte attorno alla scuola. Con investimenti mirati sulla sanificazione e sulla sistemazione degli edifici scolastici, ad esempio, pietra angolare di una nuova stagione di investimenti pubblici. Con una svolta a 180 gradi sulla didattica a distanza, liquidata da Conte con un “bene così”, quando invece ci sarebbe molto da dire su insegnanti mandati letteralmente allo sbando e bambini e ragazzi appesi alle disponibilità economiche e alle dotazioni tecnologiche dei propri genitori.
E ancora: con un piano di ripartenza a settembre che tenesse conto di un quadrimestre anomalo da recuperare, che rischia di essere un fardello pesante per bambini e ragazzi, soprattutto in classi cruciali come la prima o la quinta elementare, la prima o la terza media, o la prima e la quinta superiore. Con un cenno di vita sul tema dell’esame di maturità, che giusto o sbagliato che sia, in Italia non è solo un mero test, ma rappresenta un rito di iniziazione civile.
Niente di niente, invece. E non sappiamo nemmeno come leggerla, questa assenza. Evidentemente ci sono cose più importanti, in Italia, dell’educazione delle generazioni future, dell’unico ascensore sociale che ha dimostrato di funzionare, dell’unico viatico per costruire la competitività futura di un’economia asfittica. E perché no, dell’unica arma che abbiamo davvero per affrontare una pandemia: con la forza del sapere, della scienza, della ricerca, dell’innovazione. Magari diteci quali sono, queste cose più importanti. Così ci regoliamo.