Liam e Colin, gemellini di quattro anni e mezzo, oggi saltano, corrono, fanno le capriole e giocano insieme nella loro casa di Villafranca di Verona. Il fratellino Derek, che di anni invece ne ha sei e mezzo, ogni tanto gli si avvicina oppure disegna per i fatti suoi. Perché l’autismo è anche questo. Eppure, a differenza di qualche tempo, oggi riesce timidamente a fare entrare gli altri nel suo mondo. Una cosa impensabile “fino all’anno scorso”, racconta Monia Gabaldo, 40 anni, genetista e mamma di questi tre splendidi bambini. La loro è una famiglia davvero speciale. A completarla c’è Gabriele Selmo, quasi coetaneo, che invece lavora in banca. “Sono meravigliosi” assicura. E meravigliosa è anche la forza che la loro storia trasmette.
Derek, Liam e Colin sono tutti e tre autistici, anche se con gravità diverse. Ma prima di avere la certezza di questa diagnosi, che nessun genitore forse vorrebbe mai sentirsi dire, Monia e Gabriele hanno dovuto faticare davvero tanto. Fino all’anno scorso, infatti, nessuno fra i colleghi della giovane mamma veronese pensava che Derek fosse autistico. Ma lui “sfarfallava”, “non interagiva con noi e con gli altri bambini”, “rimaneva isolato”: tutti campanelli d’allarme che hanno convinto Monia e Gabriele ad insistere per cercare di capire davvero cosa stesse succedendo al loro figlio più grande. Un bambino bravissimo con la matematica fin da piccolo, ma completamente indifferente a qualsiasi sollecitazione esterna. “Al primo anno di materna ha cominciato a ripetere frasi, dalla mattina alla sera, senza contestualizzarle”. Così, girando per numerosi specialisti del nord Italia, finalmente si è fatta chiarezza sul suo stato di salute. “Non vedevo l’ora di avere una diagnosi, ero frustrata dal vedere questo bambino con delle difficoltà –continua Monia-. Quando ho avuto la sua diagnosi ho indagato anche su gli altri due, ma anche qui ho dovuto faticare: mi dicevano che copiavano il fratello”.
Liam sorrideva, “ma non ti guardava mai negli occhi”, mentre Colin "era più mimico" restava sempre con lo sguardo perso nel vuoto. Alla fine è emerso che anche loro due, seppure in maniera leggermente più lieve, hanno un disturbo dello spettro autistico. “Non mi hanno mai chiamato mamma fino all’anno scorso”. Cioè fino a quando Monia e Gabriele hanno deciso seriamente di rimboccarsi le maniche per aiutare i loro tre bambini speciali.
Da quel momento è iniziato un lunghissimo percorso (“che continuerà per tutta la vita”, sottolineano i genitori) per garantire ai Liam, Colin e Derek una vita come quella di tutti gli altri bambini. Terapie, visite mediche, giochi utili all’apprendimento e chi più ne ha più ne metta. “Già è difficile con uno solo, figuriamoci con tre” assicura Gabriele, senza però mai perdersi d’animo. Perché non è quello di cui hanno bisogno i loro bambini. Piuttosto hanno bisogno di amore incondizionato, proprio come quello dei loro genitori.
“C’è un gap nel sistema sanitario nazionale –spiegano però Monia e Gabriele, i quali, dopo aver capito la situazione, hanno anche indagato su loro stessi, scoprendo di rientrare nello spettro autistico, seppure in maniere molto più lieve-. In Italia c’è una scarsa presa in carico dopo la diagnosi”. Loro, che possono permetterselo, riescono così a sostenere le spese inevitabili che una situazione del genere comporta, altri forse non ne hanno le stesse possibilità. Ed è questo che entrambi tengono a sottolineare.
Provando a fare qualcosa anche per aiutare chi vive una situazione simile, hanno dunque aperto un canale Youtube per condividere piccoli passi in avanti, miglioramenti e difficoltà. Ma anche per lanciare dei messaggi forti e chiari. “Quello di cui hanno bisogno le famiglie come la nostra è riuscire a sperare che questa etichetta non diventi una sentenza per loro una volta cresciuti: io sono un medico, ci sono riuscita –sottolinea Monia-, ma durante il percorso scolastico in tanti mi dicevano che non ce l’avrei fatta perché ero troppo sensibile. Molti non ne hanno la possibilità, ma sarebbe bello che la gente, oltre le difficoltà, vedesse anche le abilità di chi è autistico, sfruttandole per andare avanti. A loro serve essere accettati e amati per quello che sono –conclude-. Con l’autismo puoi distruggere una persona isolandola, ma allo stesso tempo puoi salvarla, modificandone il destino semplicemente accettandola”.