La famiglia di Elisa Claps contro la Chiesa: “Paghi i 17 anni d’inferno”
Sono passati diciannove anni dalla morte di Elisa Claps, la studentessa che a 16 anni fu rapita e uccisa a Potenza, il 12 settembre del 1993. Diciannove anni da un delitto per il quale la Corte di Assise di Salerno ha condannato Danilo Restivo a 30 anni di carcere (l’uomo è già detenuto in Gran Bretagna per un altro omicidio, quello di una sarta). Diciannove anni, dunque, dalla morte di Elisa il cui cadavere fu ritrovato però dopo ben diciassette anni. Era, infatti, il 17 marzo del 2010 quando due muratori ritrovarono il corpo della ragazza nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità a Potenza. Ed è proprio per quei diciassette anni di attese che la famiglia Clap ora vuole un risarcimento.
Il vescovo di Potenza deve assumersi le sue responsabilità – Secondo quanto ha annunciato, attraverso il settimanale “Oggi” da domani in edicola, l’avvocato Giuliana Scarpetta, la famiglia di Elisa ha deciso di chiedere i danni alla curia arcivescovile di Potenza. Danni, appunto, “per i diciassette anni d’inferno patiti dalla famiglia prima del ritrovamento del cadavere”. La rappresentante legale della famiglia Claps ha dichiarato che è necessario che il monsignor Agostino Superbo (vicepresidente della Cei e vescovo di Potenza) si assuma adesso le sue responsabilità “perché il diritto canonico è chiaro e dice che è lui il responsabile di quanto accade nelle chiese della Diocesi”. Il legale dei Claps ha dichiarato, inoltre, che “nelle sue dichiarazioni e in quelle del viceparroco ci sono troppe contraddizioni e inesattezze”.