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Opinioni

La dittatura dei sondaggi ed il vuoto della politica

I sondaggi restano al centro del dibattito, con analisti e commentatori che immaginano future alleanze sulla base del raggiungimento o meno della maggioranza dei seggi al Senato. Dimenticando però l’elemento politico: senza convergenza sui programmi non c’è maggioranza. Lo dimostrano gli ultimi vent’anni.
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Prima di tutto i freddi numeri, poi e di conseguenza le valutazioni. Una legge non scritta alla quale però sembra ormai piegato il dibattito politico, quando manca poco più di un mese alle elezioni del 24 e 25 febbraio. In effetti, a ben guardare, i dati degli istituti di rilevazione mai come stavolta sono un vero "fattore" nella campagna elettorale. Ed influenzano scelte, dichiarazioni ed alleanze. Numeri che, vale la pena ricordarlo, vanno sempre valutati con la massima cautela, sia perché in alcuni casi si registrano enormi discrepanze fra diversi istituti, sia perchè un terzo degli italiani si dichiara ancora indeciso, sia infine perché ad un mese dal voto il consenso non è ancora consolidato e dunque le oscillazioni sono potenzialmente ampie ed in grado di cambiare ogni risultato.

Per il momento, dunque, la questione sembra essere in questi termini: ampia maggioranza numerica del centrosinistra alla Camera dei Deputati (effetto del Porcellum, che garantisce il 55% dei seggi alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei consensi), partita sul filo di lana al Senato della Repubblica. Su tutto, la rimonta di Silvio Berlusconi (vera o presunta che sia, è ormai la formula con la quale aprono sondaggisti e commentatori) e la lente di ingrandimento sulle regioni chiave della contesa al Senato: Veneto, Lombardia, Campania e Sicilia. Al momento la "situazione resta fluida", con un vantaggio del centrodestra in Veneto di circa 4 punti (2 secondo altri istituti), una sostanziale parità in Lombardia (con la sensazione che sul risultato influirà in maniera determinante l'esito delle contemporanee elezioni regionali), un vantaggio esiguo della coalizione guidata da Bersani in Campania (in questo caso l'incognita è sul risultato di Rivoluzione Civile di Ingroia) ed un testa a testa in Sicilia, regione in cui sarà interessante valutare il risultato del Movimento 5 Stelle. Insomma, per farla breve: giochi aperti, con la probabilità che si replichi quanto successo nel 2006, con un equilibrio sostanziale e l'impossibilità di ottenere una maggioranza qualificata al Senato (il Governo Prodi poteva contare su solo 148 senatori).

Valutazioni diventate determinanti, non solo in relazione alla possibilità di correggere l'impostazione della campagna elettorale, di ricercare alleanze e convergenze o di calibrare le candidature. Il punto è che, per citare Nando Pagnoncelli, "i sondaggi si sono trasformati da strumento di conoscenza ed analisi a strumento di propaganda e previsione", finendo paradossalmente per influenzare in maniera determinante quelle stesse scelte che dovrebbero in qualche modo "intercettare". Un circolo vizioso che per il momento fa gioco a chi è in grado di "gestirli", oltre che alla gran parte dei talk show televisivi, che fanno dell'ultimo sondaggio il loro punto di forza. Per inciso, come nota Ilvo Diamanti, l'evoluzione dei sondaggi, che in qualche modo finiscono per costruire l'opinione pubblica (più che rilevarla), "risulta particolarmente favorevole a Berlusconi, che prima degli altri ha introdotto la politica come marketing. E meglio di altri ne controlla gli strumenti e le tecniche. Così nella confusione demoscopica e nel reality della campagna elettorale, che oggi impazzano, il Cavaliere è riuscito a rilanciare il bipolarismo personale: Pdl – Berlusconi vs Pd – Bersani. Ha messo all'angolo Monti e la sua coalizione. Ma anche Grillo ed Ingroia".

Il caso Grillo in tal senso è inquietante: sembra siano bastati un paio di sondaggi che lo collocano fra il 12 ed il 15% per relegare il Movimento 5 Stelle in una sorta di cono d'ombra (in concorso di colpa con la "teorizzazione" grillina del boicottaggio dei talk show televisivi che rappresentano ancora la principale vetrina per la politica del Belpaese). La realtà però potrebbe essere decisamente diversa, soprattutto se Grillo riuscirà a replicare nelle prossime settimane quanto fatto in occasione delle elezioni regionali in Sicilia, con "l'assalto alle piazze" e la mobilitazione spontanea di migliaia di volontari.

Ma c'è anche un aspetto secondario della dittatura dei sondaggi. Perché appare abbastanza chiaro che se la valutazione resta essenzialmente numerica, nella discussione complessiva possono agilmente trovare spazio calcoli, strategie ed alchimie di ogni tipo. Così si ragiona "a prescindere" di alleanze e convergenze, di accordi e patti post elettorali, basandosi esclusivamente sulla proiezione della somma algebrica dei seggi parlamentari. Dimenticando una volta di più quello che dovrebbe essere il discrimine principale fra le forze politiche: la loro piattaforma programmatica – ideologica, la loro idea di Paese e le soluzioni per risolvere i problemi concreti dei cittadini. Perché dovrebbe esserci una distanza abissale fra un'alleanza pre – elettorale ed un inciucio post voto, come testimoniano anni ed anni di trasformismo e di fallimenti politici e parlamentari. E gli stessi voti non si "sommano, scambiano, vendono", ma si conquistano con la pratica e l'offerta politica. Anche quando, miracolo del Porcellum, il risultato sembra già scritto.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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