“Le lesioni neurologiche sono il danno peggiore che ci sia. Questo appello è l’ultima mia prova: dopodiché vorrò andare in una clinica svizzera per farmi accompagnare nell’altra vita". Mi scrive dalla sua camera di casa Mariano Pietraforte. Lo fa utilizzando l’unica finestra che ha per affacciarsi sul mondo: un computer. Da quello schermo ha dovuto ricominciare a vivere da capo, se di vita possiamo parlare, riscoprendo letteralmente ciò che oggi gli si para davanti. “Al mio risveglio non solo mi si erano cancellati 15 anni di vita, ma non riconoscevo più nessuno!”
Era il 2 Dicembre 2016 ed erano le 17:45 quando a Rieti, in quella maledetta curva di San Vincenzo, la sua vita si è stravolta in un modo ancora da accertare. L’uomo che fino a un anno fa era un infermiere palestrato con la passione per la cura del corpo ma anche dell’anima delle altre persone, oggi è segnato da 42 giorni di coma in seguito ad un incidente stradale che, oltre a lui in motorino, ha coinvolto tre persone (illese) su due auto distinte.
Dopo otto mesi Mariano è tornato a casa in condizioni gravissime e non solo dal punto di vista ortopedico, con una gamba completamente ricostruita in titanio e le ossa sbriciolate un po’ dappertutto. I danni neurologici in seguito all’ematoma cerebrale gli rendono impossibile camminare ma anche coordinare ogni piccolo movimento. “Penso a stendere la gamba per appoggiarla a terra ma lei non vuole farlo…”, mi racconta al telefono prendendo qualche faticosa pausa tra una frase e l’altra. Colpa soprattutto della lesione del quinto e del settimo nervo cranico, chiariscono i referti medici che mi ha spedito per mail.
Ma in seguito all’incidente l’ex infermiere ha riportato anche una paralisi alla parte destra del viso, con problemi all’udito e alla vista dal momento che il rispettivo occhio si è spostato, non riuscendo più a mettere a fuoco le immagini. Il tutto accompagnato da bagliori e fischi che lo tormentano notte e giorno, in continuazione, e da una deglutizione inefficace, costringendolo a mangiare cibo frullato e liquido per non affogare.
“Un anno fa mi sentivo il numero uno nello sport e nella vita, oggi non riesco neanche a mangiare da solo.” continua. “La cosa peggiore è che mi è rimasta la lucidità per comprendere tutto, a partire dalle mie condizioni.”. Ed è di questa comprensione che, in modo intimo e tenero come tra due amici di sempre, mi confessa: “Ero fidanzato, ma la nostra relazione si era già incrinata, così l’incidente ha dato il colpo finale. Ho preferito che scegliesse se stessa, perché già vedo quanto soffrono i miei genitori di 70 anni nel vedermi in queste condizioni. Non avrei mai tolto la libertà ad una persona di 30 anni.”
Oggi Mariano vive coi genitori anziani, appunto, con tutte le fatiche del caso e non solo collegate all’età. L’unica risorsa economica che ha a disposizione per pagarsi le medicine e le cure (che effettua tre volte a settimana presso l’ospedale S. Andrea e il policlinico Gemelli) è la minima pensione del padre, in attesa della fatidica visita per ottenere il riconoscimento di invalidità (ad anno nuovo, però).
“Sto provando a raccogliere soldi per andare in una clinica neurologica ad Innsbruk, in Austria. So già che non camminerò più, ma almeno vorrei provare a recuperare le mie funzioni neurologiche e far scomparire il dolore alla testa. Ad oggi nessun medico è stato in grado di aiutarmi, figuriamoci le Istituzioni. E nonostante tutto non ti permettono neanche di decidere se vivere o no, togliendoti così ogni forma di dignità”.
Mentre parla rassegnato in viva-voce le mie dita prendono appunti, la testa pensa a strade, collegamenti, incroci di storie e possibilità. Ho scelto di raccontare la sua storia nella speranza che un bravo neurologo lo contatti e dia risposte, tentativi e magari soluzioni misurabili in dignità e speranza. Perché disabili si può diventare, basta un'auto che ti taglia la strada e ti spara oltre il ciglio di una fossa, e la gente questo deve metterselo in testa una volta per tutte. Ho scelto di raccontarla perché nessuno dovrebbe arrivare a dire "questo è l'ultimo tentativo”. E l’ho fatto anche perché, in ogni caso, chiunque si merita ogni alternativa possibile, nella propria lucida e consapevole libertà di scelta.
Ecco perché prima di chiudere la conversazione gli ho chiesto cosa veda nel domani. Quali siano le sue intenzioni, se abbia un piano B oppure uno Z nel caso in cui nessuno si faccia avanti: “Come potrebbe essere la mia vita quando non ci saranno più i miei genitori? Chi tenderà una mano a me e a loro se dovessero stare male? Queste domande non me le voglio fare: credo che la vita debba essere vissuta nella sua totalità, con esperienze negative e positive. Oggi di esperienze positive non ce ne sono ed io non riesco a vivere nel ricordo di chi ero. Se non riuscissi a migliorare farò di tutto per andare in Svizzera e trovare la mia pace. Per questo vorrei contattare l’associazione Luca Coscioni, per aiutarmi ad avere un fine vita dignitoso”.
Ho salutato Mariano con la promessa che ci saremmo risentiti presto e che, oltre ad un articolo, avrei provare a fare di più: scrivere a Marco Cappato, ad esempio, con la speranza di metterlo a conoscenza della sua richiesta. Poco dopo mi è arrivata nei messaggi la foto di un tenero cane, disteso sul pavimento, con un messaggio: “Lei è Jodi, non mi ha mai abbandonato. Dopo otto mesi di ricovero e la mia immagine stravolta credevo che non mi avrebbe riconosciuto… Invece è ancora lì, mi veglia e dorme insieme a me”.
Chi volesse contattare Mariano Pietraforte può farlo alla seguente mail: m.pietraforte@libero.it