Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro lettore, uno studente di Bologna:
“Sono Diego, uno studente che frequenta la scuola superiore Manfredi-Tanari di Bologna. Vi contatto per un motivo che tocca tutti gli studenti d’Italia. Come ben saprete il metodo attuale di studio è la didattica a distanza, io sono qua per parlare degli aspetti che non vengono raccontati di questo metodo di insegnamento, la lettera che sto scrivendo è l'ennesimo tentativo di cambiare. Quello che sto e che stiamo vivendo, la maniera in cui ci gestiscono e come ci considerano non è più in grado di essere sostenuta dagli studenti italiani. Le mie parole sono frutto di stress, delusione e amarezza portate da un eccessivo uso di un sistema che distrugge le menti di noi ragazzi, ed è questo il lato che non si conosce, che non viene raccontato e che soprattutto non viene preso in considerazione dallo stato.
Parto dal raccontare la mia esperienza personale, tutto iniziò a marzo dell'anno scorso quando ci fu il primo lockdown che portò la didattica a distanza. All'inizio era una novità, ma ben presto mi accorsi che non mi stava facendo bene e come me in egual maniera a chi conoscevo, l'anno scorso si chiuse con la decisione di promuovere tutti. Passata l'estate ci ritrovammo di nuovo tra i banchi di scuola, ben felici di potersi rivedere ma poco dopo ci ritrovammo di nuovo a casa. Questo fu un passaggio molto importante perché distrusse la poca normalità che ci era stata data, durante questo periodo (fino ad oggi) ho visto molte persone lasciare la scuola, andare male, perdere l'interesse in quello che è imparare.
Siamo una parte di popolazione che rappresenta il futuro, ma nonostante questo veniamo lasciati a noi stessi, non esiste più un'interazione tra alunno e insegnante e soprattutto non esiste più la cura del singolo studente. Il problema principale è il bisogno di cambiare, cambiare in maniera radicale il metodo di approccio allo studio odierno.
Come ho detto prima sto parlando per una generazione lasciata a se stessa, stanca della continua superficialità con cui viene considerata e trattata, perché ora come ora non siamo persone ma siamo numeri da cui si pretende molto e si dà poco. Spero che la mia lettera basti per dar voce a milioni di studenti, per farlo ho bisogno della vostra mano”.
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