La delusione di Francesco, insegnante di musica vince il concorso, ma rimane precario: “Tanti come me”
“Sono molto arrabbiato perché almeno ci fosse un motivo valido. Si sta minando la sicurezza e il senso di giustizia di tanti insegnanti. E poi c’è un grande danno psicologico, poiché ci stanno privando del lavoro”. Sono le parole piene di amarezza di Francesco, un musicista quarantenne di Napoli. Da cinque anni docente precario, a luglio ha partecipato al concorso regionale per accedere alla scuola pubblica. L’esito della prova è stato positivo, ma, quando è arrivato il giorno della convocazione per l’immissione in ruolo, ha scoperto di essere stato escluso dalle graduatorie. Come lui, in tutta Italia sarebbero centinaia gli aspiranti insegnanti di musica inghiottiti nel caos amministrativo che ha accompagnato l’ultimo concorso nella pubblica istruzione.
Un diploma al conservatorio in tasca, Francesco comincia da giovane la sua carriera musicale. Opera di Roma, il San Carlo di Napoli e il Petruzzelli di Bari, sono solo alcuni dei teatri prestigiosi in cui si è esibito con la sua tromba. “Ma in Italia le orchestre chiudono”, precisa. Così accompagna il suo lavoro sinfonico con l’insegnamento. Inizia la sua gavetta da precario nel 2013 con la speranza di un impiego stabile nella scuola pubblica. Il suo tortuoso percorso per l’agognata cattedra era appena cominciato.
In questi anni, infatti, molti insegnanti in possesso del diploma accademico rilasciato dalle istituzioni oggi definite “di alta formazione artistica, musicale e coreutica” (Afam) hanno lottato per il riconoscimento dell’abilitazione all'insegnamento. Diverse sentenze dei tribunali del lavoro hanno accolto i ricorsi presentati dai diplomati al conservatorio del vecchio ordinamento (ovvero prima del 1999), stabilendo il loro diritto ad essere inseriti alla seconda fascia delle graduatorie d’istituto, e riconoscendogli l’abilitazione ad insegnare. Anche Francesco è dovuto passare per le aule di tribunale. Il giudice istruttore di Napoli, in un sentenza del maggio 2017, ha accolto la sua domanda attribuendo al suo diploma valore ‘abilitante’. Forte di una sentenza a suo favore, il musicista napoletano si è presentato al concorso pubblico regionale indetto a febbraio di quest’anno. Una prova orale di natura didattico-metodologica, non selettiva, è l’unico scoglio da affrontare. “Il concorso si è svolto a luglio – ricorda Francesco – c’è stata l’estrazione della traccia e il giorno seguente era prevista la discussione con la commissione”.
“La notte del 30 agosto sul sito dell’Ufficio regionale scolastico (Urs) della Campania – continua – escono le prime convocazioni e poco prima di mezzanotte le graduatorie con l’esito della prova, più la valutazione dei titoli culturali”. Le graduatorie sono firmate dal direttore generale dell'Urs campano, Luisa Franzese. Francesco si piazza tra i primi quindici e i suoi sogni sembrano sul punto di avverarsi. La doccia fredda, però, arriva il giorno dopo quando si presenta alla sede dell’Ufficio regionale scolastico assieme agli altri docenti che hanno superato il concorso. “Il 31 agosto c’è stata la convocazione per le immissioni a ruolo – prosegue – ma non ci hanno fatto firmare perché hanno ritenuto che le nostre sentenze passate in giudicato diano solo l’accesso alla seconda fascia delle graduatorie d’istituto e non al concorso”. Insomma, tutto inutile, nonostante il brillante risultato ottenuto nella prova.
Francesco e gli aspiranti docenti di musica non ci stanno e vogliono avere spiegazioni. Ma bastano pochi minuti ad una funzionaria per ribadire a voce la loro esclusione. “E’ stata attuata una politica che diversifica il modo per conseguire un’abilitazione. Purtroppo, fino al 2005, nessun docente poteva abilitarsi perché non esistevano corsi specifici. Ora ci sono tanti modi per ottenere la sospirata abilitazione (e in molti vanno all'estero per procurarsi il riconoscimento), ma per i docenti di una certa generazione questo non è più possibile”, sottolinea. Per Francesco, e i migliaia di esclusi dalle graduatorie dopo aver superato il concorso, non rimane che il ricorso giurisdizionale al Tar o il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Una battaglia legale che, a seconda dei casi, può arrivare a costare fino ai 10mila euro. E non tutti possono permettersi di pagare questa somma per vedere riconosciuti i propri diritti e potersi, semplicemente, sedere su una cattedra ad insegnare.