Nelle ultime ore sta girando sul web un appello scritto dal professore di linguistica e accademico Massimo Arcangeli che ha raccolto finora le firme di oltre 12mila persone. Illustri accademici italiani, scrittori, personaggi della politica, hanno sottoscritto questa petizione che vuole ergersi a ultimo baluardo di resistenza contro una ‘pericolosa deriva spacciata per anelito d'inclusività da incompetenti in materia linguistica’. A cosa si riferiscono? Allo schwa ovviamente, ormai diventato il nemico pubblico numero uno.
Cosa c'è scritto nell'appello contro lo schwa
Nell’appello si definisce senza mezzi termini lo schwa ‘l’ennesima follia bandita sotto le insegne del politicamente corretto’ (espressione di destra ormai molto cara anche a certa sinistra, sic), la proposta ‘di una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un'intera comunità di parlanti e di scriventi’, ‘il frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell'inclusività’. Si sostiene anche che con lo schwa esiste il ‘rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche'. Un problema certamente da tenere in considerazione, ma a cui una prima risposta è stata data dal collettivo Fərocia, composto da persone appartenenti alla comunità lgbtqi+: "chi ha scritto la petizione contro l'utilizzo della schwa ha arbitrariamente deciso, senza minimamente consultarci, che tuttə noi persone neurodivergenti avremmo problemi a leggerla e a utilizzarla, cosa che, come si evince da questo comunicato, non è affatto vera. Ma soprattutto omettendo di accennare al fatto che la maggior parte delle problematiche di lettura di chi ha un Dsa sono facilmente risolvibili con l'adeguamento dei mezzi tecnici di didattica e di lettura". Non solo: pronunciare lo schwa, secondo chi ha scritto l’appello, ‘trasformerebbe l'intera penisola, se lo adottassimo, in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l'Abruzzo, il Lazio meridionale e il calabrese dell'area di Cosenza’.
Tralasciando quest’ultima parte, in cui viene da chiedersi come mai tanta spocchia nei confronti del Sud Italia, è impossibile non notare la veemenza con cui questo appello affronta la questione dello schwa. Ridicolizzare un dibattito che da tempo si sta dando nel mondo dell’accademia e non solo, non è un modo per affrontare l’argomento in maniera costruttiva. Mettere il discorso solo su un piano formale sostenendo una improbabile immobilità della lingua italiana è rifiutarsi di riconoscere che nella nostra società c’è un problema di natura sostanziale che riguarda le persone trans, non binarie e più in generale la comunità lgbtqi+. L'uso dell'asterisco, dello schwa o del femminile universale, dimostra che è in corso un cambiamento non solo a livello di lingua, ma anche sociale. Ed è questo che dà fastidio. Il simbolo è solo un pretesto.
Nella società c'è un cambiamento in atto, è questo che dà fastidio
Come ha già detto più volte la sociolinguista, traduttrice e accademica Vera Gheno, “in questo momento storico siamo davanti a cambiamenti inediti. Prima non ci si era mai posti il problema di rappresentare anche le persone non binarie, oppure le persone trans che non completano la transizione. Non sappiamo quello che succederà a livello linguistico. Potrebbe accadere di tutto, dipende da dove andranno le esigenze delle persone. E tra dieci anni potrebbero esserci grossi cambiamenti nella comunità dei parlanti. Quelli che vediamo in corso ora sono tutti esperimenti, quindi la rabbia o il fastidio delle persone – che non sono direttamente toccate dalla questione – sono mal riposte. Nessuno può cambiare dall'alto una lingua, è la comunità che esprime un'esigenza e vuole trovare una soluzione”.
Le disuguaglianze sociali si esprimono anche nella lingua
Porre la questione della lingua, ad esempio usando lo schwa o l’asterisco, vuol dire evidenziare un problema sostanziale, che va superato. Diseguaglianza ed esclusione nei confronti delle persone appartenenti alla comunità lgbtqi+ non sono concetti astratti, ma avvengono nella realtà, che la lingua traduce sul piano del parlato. Porre un’alterità vuol dire gettare le basi per intervenire soprattutto a livello concreto nella vita di tutti i giorni, perché è chiaro che non basta cambiare le cose solo a livello linguistico. Al contrario, ridurre la questione solo a questo, a pura e semplice grammatica, vuol dire non riconoscere dignità al problema reale, al riconoscimento di soggettività che esistono e ai diritti che ne conseguono. Non si riconosce la forma per non riconoscere la sostanza.
Viviamo in una società costruita a misura d’uomo che ha evidentemente grossi problemi a lasciare andare le redini del potere, e maschera questa difficoltà dietro un’improbabile quanto ridicola battaglia contro lo schwa. Nessuno propone che da domani la lingua italiana usi solo ed esclusivamente quel simbolo. Sostenere una cosa del genere vuol dire che o non si è compreso il dibattito, o si è in malafede. Il mancato riconoscimento si spiega in tanti modi: ragioni politiche, scarsa attenzione, mancanza di empatia verso un problema non direttamente percepito.
La realtà sta già cambiando
Si tratta dello stesso processo mentale che porta a giustificare gli insulti sessisti o razzisti, trincerandosi dietro la scusa che ‘se mi dicono bianco di mer*a io mica mi offendo’, o del cosiddetto ‘razzismo al contrario'. Non si capisce (o non si vuole capire) che il problema non sta sul piano prettamente linguistico – formale, ma su quello sociale – sostanziale. Perché ad esempio il razzismo al contrario non esiste? Perché le persone nere hanno processi storici di oppressione alle spalle che i bianchi non hanno. Il centro della questione sono le condizioni concrete, a cui la lingua rimanda. La lingua è evocativa, nel caso dell'insulto razzista o sessista indica un potere schiacciante, nel caso rovesciato non ha alcun processo concreto da evocare. La forza evocativa sta nella realtà che c’è dietro, e può agire anche in termini positivi come nel caso dello schwa: la trasformazione del linguaggio richiama la necessità e la voglia di trasformare questa nostra realtà. Anzi, segnala che sta già cambiando. Piaccia o no.