Il Natale, a conti fatti, è un’illusione in procinto di essere svelata. Naturalmente non mi riferisco alla ricorrenza religiosa, né tantomeno alla figura di Santa Claus e a tutto il suo corredo iconografico, piuttosto all’immagine mentale che abbiamo sedimentato nei secoli e che ogni dicembre viene puntualmente utilizzata come scenografia di pubblicità, film e decorazioni cittadine. Un’immagine fatta di tetti innevati, abeti addobbati, mute da sci e panettoni in tavola. Un’immagine sempre più difficile da sovrapporre alla realtà delle cose.
Sì, perché tra le tante cose che diamo per scontate, e che la crisi climatica sta mettendo a repentaglio, ci sono alcune delle componenti considerate imprescindibili per continuare a dare al Natale questo nome. A partire dalla neve.
Un Natale senza neve?
“Non riesco a immaginarmelo un dicembre senza neve. Non ci voglio nemmeno provare, mi viene da piangere”. È una delle prime frasi che mi ha detto l’amministratore delegato del Villaggio di Babbo Natale, quando sono stato a Rovaniemi per studiare le ricadute del cambiamento climatico in Finlandia e in Lapponia. Fino a dieci anni fa, il Villaggio era una delle imprese turistiche invernali più promettenti, il numero di turisti aumentava ogni anno, il perimetro del villaggio cresceva e con esso le attività che i turisti potevano svolgerci. Negli ultimi anni però, questa curva ha cominciato a flettersi, e non tanto perché la domanda sia calata, quanto perché la neve ha cominciato a scarseggiare. Il che non significa necessariamente che nevichi di meno, ma che la finestra in cui i tetti finlandesi si imbiancano si sta restringendo sempre di più. Se prima infatti la neve arriva a metà ottobre e restava a terra fino a maggio, ora i fiocchi a volte non scendono prima della fine di novembre e si sciolgono già ad aprile. Il risultato è che le vagonate di turisti che ancora prendono d’assalto i bungalow di Rovaniemi, tendono sempre di più a concentrarsi in pochi mesi, creando assembramenti potenzialmente ingestibili.
Ma il Villaggio non è l’unica impresa turistica messa a serio rischio dalla crisi climatica. Lo scorso marzo, il rapporto “Nevediversa” di Legambiente ha rivelato come già oggi gli impianti sciistici siano a rischio. Si calcola infatti che, per ogni grado centigrado di riscaldamento globale, la Linea di affidabilità della neve (Lan), ossia l’altitudine capace di garantire alla neve spessore e durata sufficiente a sostenere l’attività sciistica, tenda a salire di 150 metri. Questo significa che, di qui ai prossimi decenni, un settore che dà lavoro a 400mila persone, con un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, rischia di collassare. Basti pensare che già oggi, 50 delle 650 aree sciistiche alpine è al limite dell’innevamento.
Un Natale senza albero?
Tra i tanti prodotti che quest’anno scarseggiano, ci sono pure gli abeti tradizionalmente coltivati e venduti per decorare case e città durante il Natale. In questo caso però la catena produttiva non c’entra, il responsabile è il cambiamento climatico, e in particolare le ondate di calore che quest’estate hanno fatto strage di abeti. In Oregon e in California, per dire, i coltivatori specializzati in alberi natalizi hanno registrato cali fino al 40% rispetto alla produzione tradizionale. Il 70% delle piante uccise dalle ondate di calore erano semenzali, e considerando che questi alberi richiedono dai 7 ai 10 anni per raggiungere le dimensioni “utili”, è chiaro che questa moria è destinata a sommarsi a quelle delle ondate di calore a venire.
Quest’anno la minore disponibilità di alberi negli USA ha fatto salire il loro prezzo, ovviamente: qualcuno ha optato per gli alberi in PVC, altri hanno virato su altre tipologie di albero. Il problema però non riguarda solo gli abeti di Natale, ma anche altre conifere e specie arboree che, per colpa di ondate di calore, siccità, incendi e fenomeni estremi in alcune zone fanno sempre più fatica a crescere.
Un Natale senza renne?
La renna non è solo l’animale emblematico del Natale, è anche uno dei mammiferi più resistenti e adattabili esistenti su questo pianeta. Ciò nonostante, è anche uno degli animali che oggi rischiano l’estinzione. Il motivo principale è che le renne si cibano principalmente di licheni, e fanno sempre più fatica a trovarne. Anche in questo caso la colpa è della crisi climatica, perché l’aumento delle temperature ha comportato un cambio del pattern di precipitazioni che fa sì che sempre più spesso i pascoli dell’Artico siano sigillati da una coltre di ghiaccio: se un tempo la neve cadeva e “custodiva” i licheni, consentendo alle renne di pascolare, ora l’alternarsi di piogge e ghiacciate ha ridotto la quantità di nutrimento disponibile. A ciò si aggiunge il fatto che queste zone sono sempre più contaminate dalle attività umane: l’aumento di strade, ferrovie e miniere, in particolare, fa sì che i pascoli tradizionali delle renne siano sempre più frammentati, tanto che si calcola che in Norvegia si sono ridotti del 70% in soli dieci anni. Nell’inverno 2013-2014 più di 60.000 renne sono morte di fame nella Russia artica, in quello 2018-2019 un’altra moria è stata registrata alle Svalbard, nel frattempo in Norvegia alcune renne hanno cominciato a spostarsi verso le coste in cerca di alghe da brucare.
Un Natale senza panettone?
No, il panettone non scomparirà dalle nostre tavole, ma probabilmente finirà per costare sempre di più. Lo scorso ottobre, la CNA Agroalimentare ha lanciato un allarme rincari per quanto riguarda pane, pasta e dolci. I motivi sono di natura anche speculativa, come spesso accade, ma alla base c’è un calo nella produzione di frumento che è direttamente imputabile al cambiamento climatico. Gli episodi di siccità hanno provocato una contrazione globale della produzione di frumento duro del 2,1%, con una riduzione delle scorte globali rispetto al 2020 che si assesta attorno al 15%. Oggi questo problema si traduce in un rincaro medio del 12% per panettoni e pandori, ma potrebbe essere solo l’inizio di un’altra curva di crescita destinata a seguire quella del riscaldamento globale.
La fine di un’illusione più generale
Il fatto che l’immagine che abbiamo del Natale sia sempre più lontana dalla realtà non è questo gran problema, potrebbe obiettare qualcuno. E avrebbe ragione. La crisi climatica sta creando problemi seri in aspetti della nostra vita molto più importanti del modo in cui rappresentiamo una festività. Ma sono proprio queste immagini mentali che alimentano l’illusione, spesso strumentalmente rinforzata a colpi di negazionismo e false narrazioni, che il mondo in cui viviamo sia rimasto sostanzialmente lo stesso nonostante gli 1,2 gradi in più rispetto al periodo pre-industriale. La realtà è che questo mondo è già cambiato, la crisi climatica ha già intaccato tutti i distretti della nostra esistenza. Decostruire le immagini mentali con cui lo rappresentiamo e ce lo raccontiamo è un passo fondamentale per prenderne atto.