La vicenda delle foibe si iscrive nelle complesse vicende del confine orientale, e dell'italianizzazione forzata avvenuta con l'annessione di territori a maggioranza slava e dal punto di vista etnico e linguistico molto complessi. Da quando è stato istituzionalizzato il Giorno del Ricordo continua a produrre una retorica vittimizzante della storia italiana, contribuendo nell'immaginario collettivo e nell'autobiografia della nazione a perpetrare il mito degli "italiani brava gente", a rimuovere gli orrori delle guerre coloniali, delle guerre di aggressione, delle leggi razziali. Oggi siamo arrivati al punto di non ritorno: l‘assimilazione degli "italiani" agli "ebrei" vittime della Shoah in un documento ufficiale delle nostre istituzioni.
È il caso della circolare inviata da Stefano Versari – che ricopre il ruolo di Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero dell'Istruzione – e indirizzata "ai Dirigenti e ai Coordinatori didattici delle Istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione", in pratica ai presidi delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
Ecco cosa scrive Stefano Versari:
Il “Giorno del Ricordo” e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la “categoria” umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla “categoria” degli ebrei. Con una atroce volontà di annientamento, mai sperimentata prima nella storia dell’umanità. Pochi decenni prima ancora era toccato alla “categoria” degli Armeni.
Per prima cosa vale la pena sottolineare che dire gli "ebrei" non è come dire gli "italiani". Si può essere ebrei e italiani, ebrei e statunitensi, polacchi e così via. L'assimilazione di una fede religiosa a un'identità nazionale sembra essere il primo errore che rende il paragone improprio. Ma ancora più improprio è paragonare la Shoah a all'esodo degli italiani dalle regioni giuliano-dalmate, la foiba di Basovizza ad Auschwitz.
Non importa se il documento sia stato scritto o meno in buona fede, impregnato com'è di retorica su valori universalmente condivisibili come la pace e la tolleranza. Il punto è che arriva a postulare affermazioni gravi, a sposare la tesi dell'estrema destra e del peggiore revanscismo. Gli italiani sul confine orientale non sono stati vittime di nessun genocidio (al contrario degli armeni sempre citati nel documento), ma sono morti all'interno di una vicenda complessa fatta sicuramente anche di vendette e di regolamenti di conti.
Anche la legge che istituisce il Giorno del Ricordo è molto più cauta, recitando: "La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale". Anche qui si parla di "complessa vicenda" per non parlare di cosa hanno combinato i fascisti e gli italiani da quelle parti.
E la differenza tra la Shoah e le vittime sul confine orientale non è solo nei numeri imparagonabili, ma anche in profonde differenze tra quanto è accaduto che rendono impossibile pur volendo qualsiasi analogia. Da una parte degli episodi (come altri anche molto più tragici sono avvenuti in Europa) legati alla fine del conflitto, e alla liberazione dall'occupazione fascista e italiana di quei territori; dall'altra lo sterminio industriale, il disegno di annientamento di una "razza" individuata biologicamente.
Raccontare gli italiani solo come vittime della storia, e di quella storia, e mai nelle vesti dei carnefici, degli occupanti, dei persecutori, non solo non aiuta a formare dei cittadini consapevoli domani, ma soprattutto sostiene una retorica violentemente nazionalista. E che lo faccia la scuola pubblica è ancora più grave.