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Covid 19

La chiesa dell’Ospedale diventa un reparto Covid: “Malati trovano conforto nel crocifisso”

L’ospedale Martini di Torino è diventato ospedale Covid una ventina di giorni fa. Tutte le sale sono dedicate a pazienti ospedalizzati Covid positivi. È pronta anche la cappella dell’ospedale, che è stata svuotata e che già durante la prima ondata era servita ad ospitare i malati. Il cappellano ci racconta delle estreme unzioni ai malati: “Non parlano, sono gravissimi e forse non riescono neanche a sentirci”.
A cura di Gianluca Orrù
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Don Peppe Logruosso arriva alle 8 ogni mattina, mascherina ffp2 al viso, ed entra nell'ospedale dopo il controllo rituale della temperatura. Già all'ingresso una guardia gli chiede una benedizione mattutina e il don non si sottrae, si intuisce il suo sorriso da come si piegano all'ingiù i suoi occhi scuri dietro gli occhiali.

Don Peppe è il cappellano dell'ospedale, ma quando mi accompagna nella sua cappella non ci sono panche né sedie, lo spazio è tutto libero perché la settimana scorsa, come già era successo durante la prima ondata, sono stati installati una serie di letti provvisori che hanno ospitato alcuni pazienti Covid. Tutto lo spazio è utile, in tempi di emergenza.

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"I malati mi hanno raccontato – spiega Don Peppe – che durante le lunghe giornate e nottate di degenza hanno trovato sollievo nel crocifisso. La fede aiuta: i malati parlano con Dio, si affidano a Dio"

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Quando indossa il camice bianco il Don può sembrare un medico. Vicino all'appendino, dietro a una piccola porta in fondo alla cappella, ci sono tutti i suppellettili per le funzioni: sono appoggiati lì provvisoriamente. Lungo i muri della sala spiccano i bocchettoni per l'ossigeno, è già tutto pronto e igienizzato, così Don Peppe attende le chiamate dai reparti e confessa, parla, conforta. Il numero della cappella è chiamato sia dal personale sanitario, che lo chiama per riportare le esigenze spirituali dei malati, che dai parenti di chi sta in ospedale. Così lui dà informazioni e offre una parola anche a chi sta bene ma è preoccupato, svolgendo un ruolo che va al di là di quello del prete, che però diventa decisivo al momento dell'Estrema Unzione, l'ultimo sacramento prima della morte.

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"Quando vado a impartire l'Unzione – mi spiega Don Peppe – è perché il paziente è molto grave, forse neanche sente queste ultime parole. In quelle situazioni la mia persona viene messa in secondo piano rispetto alla persona di Cristo. In quelle situazioni è il Cristo stesso che tende la mano di fronte alla sofferenza e tira su quella che è l'anima del paziente. Per noi cristiani Dio è una persona che si è incarnata e che a un certo punto è stata uccisa in croce ed è risorta, dandoci la speranza che non tutto finisca con la morte".

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