La busta paga della bracciante morta in Puglia: 27 euro al giorno
Secondo i sindacati Paola Clemente, la bracciante agricola 49enne morta il 13 luglio scorso nelle campagne di Andria, in Puglia, non era regolare. Una busta paga apparsa oggi sulle pagine de Il Corriere della Sera e dalla quale si evince che la bracciante guadagnava per il suo lavoro 27 euro al giorno. E cioè circa la metà, dicono i sindacati, di quanto avrebbe dovuto percepire per il lavoro che stava svolgendo. “Per il cosiddetto acinino dell’uva la paga è di 49 euro”, ha infatti detto Giuseppe Deleonardis, segretario Flai Cgil Puglia. A chiedere spiegazioni è il marito di Paola Clemente, Stefano Arcuri. “Tra i mille interrogativi che mi pongo e ai quali non riesco a dare risposta – così l’uomo – ritengo che sia un’assurdità, nel 2015, morire sul posto di lavoro per guadagnare a malapena 27 euro al giorno”. Far luce su come ciò sia stato possibile è la richiesta che il marito della bracciante pone al procuratore del tribunale di Trani. Come ricostruisce il Corriere, la busta paga di dieci mesi fa era a carico dell’agenzia per il lavoro Quanta ma quando la bracciante è morta lavorava per Inforgroup. Intanto però vogliono vederci chiaro i sindacati: “Sollevammo il problema lo scorso 8 luglio – ha detto Deleonardis – quindi prima ancora della morte di Paola, perché diversi lavoratori, una sessantina, vantano crediti di circa 500 euro che, pur presenti in busta paga, non sono mai stati corrisposti”. Il primo settembre la Flai Cgil ha dato un ultimatum a Quanta.
Il Corriere riporta anche la replica del vice presidente di Quanta, Vincenzo Mattina, il quale ha spiegato che se devono dare qualcosa ai lavoratori sarà fatto: “Come abbiamo già fatto nel 2014 dopo le segnalazioni dell’ispettorato del lavoro: abbiamo chiesto all’Inps di normalizzare tutte le posizioni non regolari, in gran parte sottoinquadramenti dei lavoratori. Il ravvedimento, per la sola Puglia, ci è già costato 120 mila euro per la prima tranche e complessivamente ce ne costerà 400 mila”. Qualcosa, dunque, non quadra? “Sì – ha spiegato – e ne avemmo la percezione nel 2013, due anni dopo la nostra decisione di entrare nel settore agricolo, prevalentemente in Puglia ma anche in Sicilia e Lazio. Inviammo subito tre persone da Milano a Rutigliano e alla fine del nostro screening, due dipendenti, denunciati anche per concorrenza sleale perché avevano preso contati con altre agenzie, andarono a casa”.