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Opinioni

La bufala dei giovani che non vogliono lavorare, smontata dai dati Istat

I dati Istat dicono che ci sono tanti posti di lavoro vacanti, e subito si scatena la canea contro i giovani che preferiscono il divano e il reddito di cittadinanza al lavoro. Niente di più falso, ancora una volta, e sono gli stessi dati Istat a certificarlo: serve una strategia che permetta di evitare la fuga dei talenti migliori, e questa passa da retribuzioni più alte e contratti più allettanti. Tutto il resto è retorica boomer.
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La buona notizia, a quanto dice l’Istat nella sua rilevazione trimestrale sull’occupazione in Italia, è che finalmente la disoccupazione sta diminuendo e che l’occupazione sta aumentando. La seconda buona notizia, a quanto dice sempre l’Istat, è che la domanda di lavoro cresce ancora più dell’occupazione. Tradotto: ci sono una marea di posti di lavoro vacanti, ancora da occupare.

La cattiva notizia, ma era più che prevedibile, è che in tempo zero è ricominciata la solita solfa sui giovani italiani che non vogliono lavorare, e del reddito di cittadinanza che farebbe preferire loro il divano. Li chiama proprio così, il Messaggero, in un articolo uscito giusto stamattina: “il popolo del divano” che vuole restare ai margini, allergico agli orari e che preferisce rifugiarsi nel sommerso o negli aiuti pubblici, a partire da quel reddito di cittadinanza di cui ogni giorno scopriamo i “furbetti”, con una solerzia che se fosse dedicata agli evasori fiscali potremmo estinguere il debito pubblico.

Insomma, l’estate finisce com’era cominciata: con gli imprenditori poverini che chiudono bottega perché non trovano giovani che vogliano lavorare per loro – o peggio che chiedono di lavorare in nero a chi vorrebbe metterli in regola (!!!) -, coi giovani cattivi che se ne stanno sul divano a farsi aria con le banconote generosamente offerte dallo Stato e con giornali e giornalisti boomer che si divertono a fare la morale seduti sopra una montagna di sussidi pubblici e regaloni generazionali come Quota 100, che per inciso è costata 12 miliardi in tre anni per mandare in pensione 340mila anime. A proposito di divani.

La cosa buffa è che sono proprio quegli stessi dati Istat a raccontare che le cose non stanno esattamente così. Che non è vero, banalmente, che i posti vacanti sono colpa dei giovani schizzinosi.

Primo dato, dedicato agli imprenditori: i lavoratori che non trovate, dice l’Istat, non sono quelli che ricevono il reddito di cittadinanza al posto di fare camerieri e spiaggini a 2 euro l’ora. Sono operai specializzati, informatici, tecnici, professionalità per le quali c’è un’altissima offerta di lavoro, sia in Italia sia all’estero. Quelli che, generalmente, non vogliono lavorare per voi perché hanno offerte da aziende più grandi e innovative, che li pagano di più.

Secondo dato, per l’appunto: ci informa l’Istat che mentre gli imprenditori cercano invano gente da far lavorare, le retribuzioni medie sono scese del 3% e l’unica tipologia di lavoro che cresce è quella atipica, o se preferite, precaria. Tradotto: mentre i cervelli se ne vanno all’estero, noi stiamo giocando al ribasso offrendo sempre meno in termini di diritti e retribuzioni. E per inciso offriremmo ancora di meno, se non ci fosse quella seccatura del reddito di cittadinanza come alternativa.

Lo disse il presidente americano Joe Biden agli imprenditori americani che lamentavano la carenza di giovani che volessero lavorare per loro: “Pagateli di più”. Ed è quello che qualcuno dovrebbe dire ai nostri imprenditori italiani, se ne avesse contezza: se non vogliamo continuare a perdere quei cervelli di cui abbiamo bisogno e se non vogliamo continuare a scivolare lungo la china di un’economia a basso valore aggiunto che sottopaga camerieri e spiaggini per sopravvivere, l’unica soluzione è assumere giovani, pagarli tanto, e dargli spazio e delega per cambiare i connotati al nostro sistema produttivo. Questo è quel che dicono i dati Istat, mentre si parla solo di sussidi e di divani. Poi, come al solito, fate voi.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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