L’80% di ginecologi obiettori in Sicilia. Il racconto di Elisa: “Costretta ad abortire in altra regione”
Dal 1978 la legge 194 regolamenta e disciplina le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia, permettendo alle pazienti di abortire entro i 90 giorni dal concepimento. Succede però che questa stessa legge nel nostro Paese si oppone al numero elevato di ginecologi obiettori di coscienza che si rifiutano di praticare l'aborto. In alcune regioni italiane, il tasso di obiettori costringe le pazienti a spostarsi oppure, nel peggiore dei casi, a sottoporsi a operazioni clandestine.
Elisa (nome di fantasia) ha raccontato a Fanpage.it la sua esperienza. Lei, oggi 27enne, si è scontrata a lungo con le difficoltà presentate dalla sua regione, la Sicilia. Le prime difficoltà arrivano quando, scoperto di essere incinta, prova a ottenere un appuntamento per avere informazioni in ospedale. "Sono stata costretta a rimandare di settimana in settimana – spiega -. Dopo due appuntamenti saltati, hanno smesso di rispondermi al telefono". In Sicilia, il tasso di obiezione di coscienza si aggira intorno all'80%, mentre in province come Marsala si arriva anche alla totalità dei casi. Qualcuno però si sposta: cambia comune e poi, davanti all'impossibilità di praticare l'aborto in sicurezza, prova a cambiare regione. "Mi sono presentata in ospedale per abortire. Ero sicura della mia scelta, eppure ho dovuto combattere con il personale sanitario che ha cercato prima di farmi cambiare idea e poi di farmi andare via – racconta ancora Elisa -. Quell'esperienza mi ha gelato il cuore. Il medico, quando ha capito che non avevo intenzione di cedere, non ha voluto neppure incontrarmi".
L'aborto in un'altra regione
Dopo tanto peregrinare, Elisa è riuscita a interrompere la gravidanza in un'altra regione poco prima dei termini di scadenza previsti dalla legge. Per arrivare al professionista disponibile ad aiutarla ha dovuto chiedere informazioni ad alcune amiche infermiere. "Hanno praticamente indagato per me – racconta sbuffando una risata triste -. Non volevo neppure dire loro cosa stesse accadendo, ma alla fine l'ho fatto. Ero disperata. Loro mi hanno capita immediatamente e mi hanno aiutata. Hanno ottenuto il nome di una persona che voleva svolgere il suo lavoro e io sono partita. Non nego che per me questa sia stata una scelta complicata. Nessuno la compie a cuor leggero, ma bisogna rispettare i motivi che portano una qualunque ragazza a prendere quella decisione. Non posso dover combattere il sistema sanitario che dovrebbe tutelarmi e fornirmi tutto l'aiuto del quale una donna nella mia posizione ha bisogno". "Senza contare – aggiunge – che in questo modo non disincentivi l'aborto, lo fai passare per altri canali. Le mie amiche mi hanno raccontato di pazienti che si sono rivolti di nascosto a personale sanitario non qualificato pur di abortire".
"Molti medici asseriscono di non essere obiettori perché ti mettono in contatto con chi può aiutarti. A me non è successo, ma la mia esperienza mi ha portato a conoscere donne che sono arrivate ai loro medici proprio in questo modo. Dicono di sentirsi in colpa e di non voler praticare, ma di lasciare libera scelta alle pazienti. Cosa penso io? Se non vuoi fare il tuo lavoro, allora cambialo. Questa è la vita che hai scelto, se senti di non poter soddisfare le esigenze delle tue pazienti, allora fai dell'altro. Non è possibile che in questo Paese vi sia una legge che vale solo sulla carta, osteggiata da professionisti che non vogliono svolgere il loro lavoro. Ancora peggio poi è che a ostacolarti siano altre donne che in quel momento hanno il potere di metterti in difficoltà. Penso ci sia tanta empatia per la vita che ancora deve nascere, giustamente, ma decisamente poca per quella che già esiste e ha dei diritti di autodeterminazione. Questa è la triste verità".