Opinioni

L’8 marzo ricordiamo tutte le cose che ci sembravano normali da bambine, ma che non lo erano affatto

Per l’8 marzo ripensiamo a tutte cose che consideravamo normali da bambine o ragazze, e che oggi non ci sembrano normali per niente.  Per fortuna. Rendersi conto di quante cose abbiamo interiorizzato, perché fanno parte della società patriarcale in cui siamo cresciute e ci hanno inevitabilmente influenzato, è il primo passo per provare a cambiare le cose: è un lavoro di decostruzione lungo e faticoso, che dobbiamo fare tutti, uomini e donne.
A cura di Redazione
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di Annalisa Girardi, Giulia Casula, Margherita Paiano e Olimpia Peroni

Quante cose abbiamo ritenuto normali da bambine, per poi renderci conto che non lo fossero affatto. Quante cose abbiamo interiorizzato, da ragazze, prima di accorgerci di quanto derivassero da dinamiche ben precise. Dinamiche sociali e culturali fatte di stereotipi, discriminazioni e luoghi comuni opprimenti e svilenti.

Ad esempio, per un sacco di tempo ho pensato che fosse normale che gli altri si aspettassero di vedermi sempre magra o in forma. E che tutte queste cose fossero sinonimo di “bella”. Pensavo di dovermi sempre presentare truccata e pettinata. Pensavo fosse normale giudicare l’aspetto di una persona: brutta, bella, alta, bassa e di conseguenza ero ossessionata anche dal mio.

Pensavo di dover ridere per forza alle battute sessiste, perché avevo paura di sembrare “pesante”. Pensavo che non ci fosse nulla di male nel subire catcalling, che alla fine fossero solo complimenti. Pensavo di essere troppo aggressiva, e che non fosse elegante per una donna porsi in un certo modo. Pensavo che i 30 anni fossero un punto di non ritorno e che se entro quell’età non mi fossi sposata – con un uomo ovviamente – e non avessi avuto almeno un figlio, sarei una donna fallita.

Ma poi le altre donne mi  hanno insegnato a dire a me stessa che va bene così. Sia che non realizzi nulla di tutto questo, sia che tu decida di volerlo. Anche la terapia mi ha aiutato molto, perché per vivere là fuori – e ancora di più sui social – bisogna prima trovare uno spazio dove essere gentili con sé stesse e libere dagli stereotipi che limitano la nostra espressione. Ci sono stati anche i social a fare la loro parte: ho iniziato a leggere post e commenti che criticavano, argomentando, pensieri come quelli che avevo io. All’inizio mi infastidivano, poi gradualmente ho capito che avevano ragione.

E così, piano piano ho iniziato a mettere in discussione molte credenze che vedevo consolidate. L'ho fatto perché vedevo l'effetto che avevano su di me, sulle mie amiche. Vedevo l'impatto di questo sistema su tutte noi. Chiariamo una cosa: è umano avere in testa pregiudizi, bias, idee sbagliate. Siamo immersi in questa società, non è di per sé una colpa averne. Ma lo diventa dal momento in cui non si vuole nemmeno provare a mettere in dubbio le proprie certezze. Ogni tanto dovremmo chiederci: oggi, cosa posso disimparare?

A differenza degli altri esseri viventi, gli esseri umani hanno creato credenze, tradizioni e ruoli sociali che non sempre sono funzionali, ma che riescono comunque a  condizionarci, soprattutto come donne. Molti dei modelli su “come dobbiamo essere” o “cosa dobbiamo fare” sono frutto di tradizioni secolari che continuano ad influenzarci. Però, una volta che diventiamo consapevoli di questi condizionamenti, sta a noi decidere quali accogliere e, soprattutto, quali cambiare. È necessario guardarsi dentro, ripensare a tutte quelle cose che abbiamo interiorizzato e ritenuto normali troppo a lungo. E poi, è necessario guardarsi attorno, creando alleanze per scardinare schemi e logiche di cui tutte e tutti facciamo parte. È uno sforzo quotidiano e importante. Probabilmente capiterà ancora di commettere qualche passo falso, di soffermarsi sul corpo di un’altra donna, di giudicarne le scelte personali, di usare parole sbagliate o di incappare in stereotipi. Questo però non significa che non si possa andare oltre.

Basta guardarsi indietro. Tantissime delle cose che venivano considerate normali, ora vengono giustamente riconosciute per quello che sono. E se è così, se abbiamo questa consapevolezza, è perché per fortuna ci sono state donne prima di noi che hanno posto le domande giuste, hanno cominciato le battaglie necessarie. E che continuano a lavorare fianco a fianco per andare avanti su questa strada.

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