È stato nella scorta di Giovanni Falcone, nel 2011 ha messo le manette al boss "Scintilluni" Lauricella nel cuore della Kalsa e nella squadra "Falco 65 bis" si dedicava agli scippi, le rapine e lo spaccio. Cristoforo Rubino, 53 anni, è morto a Palermo lasciando una cicatrice nella memoria storica della città e della lotta antimafiosa. Aveva "le palle", Rubino e aveva tutta quella fisicità che l'ha proiettato nell'immaginario dei palermitani che (anche) in lui hanno visto la luce per questa città bellissima e così ferocemente contraddittoria.
C'è una foto che l'ha reso celebre e lo rappresenta: corre con l'arma in mano, i muscoli tenuti stretti dalla camicia, l'arma in pugno, gli occhiali da sole, i capelli lunghi spostati dal vento e quell'espressione che sembra uscita da un film poliziesco. «Ogni giorno, ogni ora, ogni attimo l’abbiamo vissuto come se non ci fosse un domani. – racconta a Palermo Today un suo collega – Ricorderò sempre le “guerre” in cui ci siamo catapultati e che abbiamo sempre vinto. Perché io sapevo di avere al mio fianco un grande uomo, un grande poliziotto, un grande amico. Mi dicevi sempre: ‘Se mi chiami e mi dici che dobbiamo andare all’inferno, 5 minuti e arrivo'»: ci sono poliziotti, nei posti più "caldi" del nostro Paese, che vivono il proprio mestiere come una missione che inizia ogni mattina. Nonostante tutto.
Lo chiamavano "Hulk Hogan" i colleghi, per la somiglianza muscolare con il noto campione del wrestling e per quel suo imporre la stazza per uscire dalle situazioni più difficili. Tra i mafiosi di vecchio corso all'interno di Cosa Nostra, Cristoforo Rubino era considerato uno di quelli che faceva "paura": spaventare i prepotenti, del resto, è una liberazione per chi si sente oppresso ed è normale che a Palermo quel poliziotto rappresentasse il "pugno duro" che la città ha invocato per tanti, troppi anni.
«Chi ti ha conosciuto sa che di storie bellissime, emozionanti, eroiche, di lavoro e di vita reale ce ne sono a milioni. Sei stata l’icona di noi “sbirri pinguinazzi sbarbatelli” che facevamo a gara per lavorare con te. Sei stato il terrore di molti, che solo a vederti gironzolare con la moto tremavano e scappavano.», dicono i colleghi. E chissà come sarà arrivato arrabbiato, lì dove ora è partito.