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Dumitrita, babysitter condannata per sevizie sessuali sui bimbi che accudiva

Dumitrita Margine è stata condannata nel 2003 dal Tribunale di Monza per abusi sessuali su due fratellini di 3 e 5 anni. La donna era la babysitter dei piccoli. Come nel caso di Rignano Flaminio, conclusosi però in maniera opposta, con l’assoluzione degli accusati, a carico dell’imputata non c’erano altre prove che il racconto dei bambini. La sentenza ha sollevato numerosi dubbi.
A cura di Angela Marino
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Dumitrita Margine
Dumitrita Margine

Era tra le babysitter di una richiestissima agenzia della Milano bene, di quelle che collocano tate esperte e qualificate presso famiglie molto esigenti: infatti Dumitrita Margine finì a lavorare per una facoltosa coppia milanese. Bisognava occuparsi dei due bimbi di casa, un maschietto e una femminuccia di 5 e 3 anni. Bambini dolci, coccolatissimi e per questo un po' indisciplinati che la ‘Dumi' – come in famiglia presero a chiamarla – rese in pochi mesi obbedienti e rispettosi. Un risultato di cui la ‘signora' fu entusiasta. Quei primi mesi del 2002 furono un periodo tranquillo e felice, Dumitrita accudiva i bambini, cucinava per loro e trascorreva anche le vacanze con la famiglia.

Un'accusa pesantissima

Con la padrona di casa, poi, era nato un rapporto molto speciale, di grande confidenza. Una circostanza nuova in quella casa popolata da uno stuolo di collaboratori domestici di ogni provenienza e mansione, che distingueva la nuova arrivata da tutti gli altri, la elevava, quasi. Quanto più affidabile ed efficiente la considerava la sua datrice di lavoro, tanto più  elegante e intelligente la vedeva la sua dipendente, che da quella intesa si sentiva gratificata. Quando la madre dei piccoli decise di mettersi in aspettativa e occuparsi in prima persona della famiglia, ‘la Dumi' uscì da quella casa e fece ritorno al suo paese natale, la Romania. Quando si rifece viva con la famiglia per riprendere a lavorare a ore, però, ricevette una sinistra risposta, tuonata dalla voce del padrone di casa al telefono: Sappiamo tutto.

Le ‘cose brutte'

Quel ‘tutto' è una landa oscura dove l'immaginazione non vorrebbe mai addentrarsi, un territorio dove l'orrore avvolge e stritola come una pianta maligna. Ad aprire la porta su quel mondo ai propri genitori erano stati gli stessi bimbi, quando, dopo la partenza della Dumi iniziarono a parlare delle cose brutte. Fu la mamma a stimolare queste rivelazioni facendo ai piccoli, che da tempo avevano un comportamento strano, delle domande specifiche sulla donna che fino a poco tempo prima si era occupata di loro a tempo pieno.

I genitori e gli insegnanti si erano già accorti che il maggiore, il maschietto, era diventato molto introverso e schivo, mentre la piccola aveva cominciato ad appartarsi sola in un angolo. Piano piano i due fratellini avevano cominciato a dire alla mamma come era l'educazione della loro babysitter con la quale negli ultimi tempi, a dire il vero, neanche la stessa padrona di casa andava molto d'accordo. La rimproverava perché pigra, distante e arrogante. I bambini le confessarono che li puniva duramente. Soleva mettere in castigo la bimba e farle immergere il viso nell'acqua bollente quando faceva i capricci.

Racconti che erano emersi quando la madre aveva deciso di affidare i piccoli a una psicologa, una consulente che li aiutasse a recuperare serenità, ma che indagasse anche i motivi di quei comportamenti insoliti. E infatti la dottoressa riuscì a ottenere, a spezzoni e frammenti, altri sconcertanti particolari sulla vita dei bambini con la Dumi. I piccoli parlano di sevizie in parti intime con forchette e coltelli, di scatti fotografici che li ritraevano nudi, in pose oscene. A questo teatro dell'orrore prendeva parte, sempre secondo i bambini, un altro personaggio: è Antonio, il marito di Dumitrita. Fu il bimbo a raccontare, con il suo linguaggio infantile fatto di immagini quasi oniriche di avere visto l'uomo cercare di violentare la bambina e di  averlo visto masturbarsi davanti a loro. Una denuncia inconsapevole che emergeva da descrizioni, condite di bruciante vergogna e senso di ripulsa, che prendevano forma nel corso di diversi colloqui.

La vicenda giudiziaria

Dal divano della psicologa, dopo una querela-denuncia, la storia passò inevitabilmente nelle aule del Tribunale di Monza, dove il processo per ‘abusi sessuali su minori' andò in scena, ovviamente a porte chiuse. E dal calore domestico di fornelli, pappine e giocattoli la Dumi passò al freddo banco degli imputati, dove dall'altra parte , infuocata dall'odio, c'era la signora che aveva tanto ammirato. In quella sede, però, dove si giudica sulla base di elementi di prova, tracce, testimonianze, telefonate, perizie e referti emerge l'inestricabile nodo della vicenda: non ci sono prove. L'esame medico sui bimbi non aveva rilevato lesioni, a parte occasionali irritazioni ai genitali; gli altri componenti dello staff di casa non erano stati in grado di testimoniare di aver visto maltrattamenti o abusi; nel personal computer della Margine e di suo marito non c'erano foto dei bambini, né materiale pedopornografico di sorta. Tutto l'impianto accusatorio si basava sul racconto angoscioso dei fratellini.

Verità o suggestione?

Da un punto di vista giudiziario emettere una sentenza di condanna solo sulla base della testimonianza dei piccoli poteva avere aspetti controversi. La coscienza dei bambini, secondo gli psicologi dello sviluppo cognitivo, è in grado di elaborare falsi ricordi sulla base di suggestioni create dal convincimento di un adulto a loro molto vicino che abbiano subito degli abusi. In alcuni casi il timore di un genitore che il figlio possa aver subito violenza lo porta a porre delle domande che confondono il piccolo inducendolo a dare la risposta che il genitore teme, creando quella che diventa una falsa memoria.

Era successo anche nella bella casa di Milano o Dumitrita era davvero l'aguzzina perversa e crudele disegnata dai racconti dei fratellini? La difesa della Margine sottolineava proprio l'elemento della suggestione, oltre a interrogare i giudici su un altro punto: è possibile che i piccoli avessero subìto tali sevizie senza averne mai riportato tracce fisiche e senza mai rivelare nulla alla madre quando avvenivano gli abusi? Secondo la mamma i piccoli avrebbero taciuto perché minacciati dalla tata, che avrebbe fatto del male al loro cagnolino.

Dumitrita Margine oggi

C'era un solo elemento inconfutabile in questo caso: i bambini erano traumatizzati. La piccola era terrorizzata mentre il maschietto si tagliuzzava piccole ciocche di capelli per punirsi, perché provava "schifo" di se stesso. Una sofferenza riconducibile esclusivamente ad abusi e maltrattamenti, secondo gli esperti.  Alla fine una sola valutazione convince i giudici a emettere una sentenza di condanna: è impossibile che bambini così piccoli – 3 e 5 anni – cresciuti in un ambiente protetto, possano descrivere nei dettagli sevizie e atti sessuali di cui non sanno niente. Per questa conclusione logica Dumitrita Margine e suo marito vengono condannati a 8 anni di carcere.

I bambini Rignano Flaminio

Qualche anno più tardi, nel 2006, si verifica un caso analogo, con un esito molto diverso. Tre maestre d'asilo, un collaboratore scolastico, il marito di una delle insegnanti e un benzinaio vengono assolti nel processo per presunti abusi su minori avvenuti tra il 2005 e il 2006, nella scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio, alle porte di Roma. Anche in quel caso la sintomatologia dei bambini, i piccoli alunni della scuola, era stata ricondotta a traumi di natura sessuale che avevano portato alcuni genitori a indagare interrogando i loro bambini e, infine, a segnalare il caso ai carabinieri.

Alla prima, erano seguite altre denunce che avevano portato il numero dei casi a 21, configurando per le maestre e altri collaboratori le accuse di associazione per delinquere, atti osceni in luogo pubblico, maltrattamenti in famiglia, sottrazione di minore, sequestro di persona e violenza sessuale. Secondo i giudici, genitori e bambini erano stati vittima del meccanismo ipotizzato anche dalla difesa della babysitter rumena, ovvero quello dell'induzione di un falso ricordo, in questo caso amplificatasi con un effetto "sasso nello stagno" essendo avvenuta in un contesto educativo in cui tutti i bambini erano potenzialmente vittime. La vicenda giudiziaria di Dumitrita Margine e suo marito, tre anni prima, ebbe un epilogo processuale opposto.

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