L’insostenibile leggerezza dell’Auditel: quando il pubblico non è audience (INCHIESTA)
Lavoratori d’assalto o maschi pre-culturali? Magari ragazzi evolutivi, se non addirittura donne doppio ruolo. Non sono parole in libertà accostate dal capriccio di chi scrive, ma alcune delle categorie in cui ognuno di noi, cittadino italiano, è racchiuso secondo la Grande Mappa di Sinottica, stilata dall’istituto di ricerca Eurisko. Una segmentazione a grandi linee (che anno dopo anno si sforza di diventare sempre più precisa) che si propone di “definire il target di un prodotto/servizio rilevato in Sinottica”. Tradotto: individuare i consumatori più appetibili per le aziende. In questo panorama la televisione non fa eccezione. È noto che il pubblico televisivo viene “venduto” ai pubblicitari, che a seconda degli ascolti di ogni singolo programma, acquistano con moneta sonante spazio e visibilità sul piccolo schermo. Per tale motivo i dati Auditel assumono una valenza preziosa: più un programma è visto, più è remunerativo dal punto di vista commerciale. Un sistema che va avanti da quasi trent’anni, quando nel 1984 la Rai, Mediaset e le associazioni che rappresentano gli investitori pubblicitari (UPA) fondarono il sistema di rilevazione che da allora ha assunto una valenza pressoché sacrale fra gli addetti ai lavori: un parametro assoluto e universale su cui pianificare palinsesti, campagne pubblicitarie e format più o meno innovativi. La domanda appare, quindi, quanto meno lecita: l’Auditel, che ha potere di vita e di morte su ogni singolo programma televisivo, può essere considerato un sistema affidabile? Per rispondere alla domanda, bisogna partire dall’inizio: da cosa misura e, soprattutto, cosa non misura il dato Auditel.
COME LAVORA L’AUDITEL? IL CAMPIONE – Programmi spazzatura sulla tv italiana? Il senso comune risponderebbe: è quello che vuole il pubblico. Ma di quale pubblico parliamo? Il primo dato da sottolineare, infatti, è che l’Auditel non rileva la totalità degli ascolti della popolazione italiana. Il campione di riferimento è composto da oltre 5.000 famiglie, che variano sensibilmente di anno in anno (5.163 per il 2012), distribuite in 2.090 degli 8.100 Comuni italiani, per un totale di circa 14.000 individui costantemente monitorati, laddove il totale della popolazione si aggira intorno ai 60 milioni di persone. Per non parlare degli immigrati: questi ultimi (oltre 5 milioni nel nostro Paese) non rientrano in alcun modo nel panel prescelto. La rilevazione avviene tramite un apparecchio, situato sul televisore e denominato “meter”, provvisto di un apposito telecomando (aggiuntivo a quello del piccolo schermo) e coinvolge i canali Rai, Mediaset, La7 (compresi quelli del bouquet digitale), reti satellitari (come Sky) e oltre 140 emittenti locali operanti nelle varie regioni italiane. Il telespettatore dovrà quindi indicare, tramite questo dispositivo, quali e quanti membri della famiglia (compresi eventuali ospiti presenti) stanno guardando un determinato programma. I dati poi vengono raccolti secondo un complesso sistema di variabili (tra cui il famoso share). Questi i primi aspetti che hanno generato, negli anni, le critiche più numerose. Com’è possibile pensare di racchiudere gli ascolti dell’intera popolazione prendendo in esame le sole persone che l’Auditel considera come “rappresentative della popolazione italiana per caratteristiche geografiche, demografiche e socioculturali”, in un’epoca in cui il consumo è incredibilmente frammentato? Non solo sulla tv stessa grazie all’offerta digitale (che viene comunque coperta dalla rilevazione), ma anche su altre piattaforme, prima fra tutte il web, da YouTube in poi. Una semplificazione che ha fatto emergere, più volte, la necessità di un aggiornamento radicale del sistema che, a tutt’oggi, rimane nell’ampia casistica delle buone intenzioni.
LA QUESTIONE DELL’AGGIORNAMENTO – Aggiornare il sistema, ma anche il campione di famiglie rappresentato. Uno dei problemi che l’Auditel si trascina dietro da ventotto anni è il rinnovo del panel. Capita che molte famiglie restino “rappresentative” per dieci, quindi, diciotto anni, come sottolinea Stefania Di Mario, ricercatrice in Scienze della Comunicazione all’Università Sapienza di Roma, da noi interpellata in proposito: “Il campione dovrebbe essere aggiornato ogni tre o quattro anni. Quando questo non avviene siamo di fronte a un problema, perché negli anni i gusti delle persone cambiano e non sempre rimangono “rappresentativi” dell’intera
CONTROLLATI E CONTROLLORI – Quella dell’Auditel, come già accennato, è una composizione societaria tripartita: Rai, Mediaset e UPA detengono, alla pari, un pacchetto del 33% della proprietà. L’altro 1% è appannaggio della Fieg, Federazione Italiana Editori Giornali. In pratica: quelli che vengono controllati sono gli stessi che controllano. Senza contare l’assenza, nell’azionariato, di emittenti importanti del mercato televisivo, da Sky (che non a caso conduce da anni una crociata senza quartiere contro l’Auditel) a La7, fino alle reti private locali. Questa la motivazione per cui, nel 2004, l’Agcom (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) aveva evidenziato la posizione dominante nel mercato, dove “Il controllo (degli ascolti televisivi) è detenuto da due principali operatori pubblicitari: Rai e Fininvest (L'allora Mediaset, ndr). Tale organizzazione del mercato – prosegue l’Agcom – appare inidonea a fornire i corretti incentivi alle condotte della medesima società, e come tale capace di determinate un esito inefficiente, con possibili effetti negativi nel mercato della raccolta pubblicitaria televisiva”. Rai e Mediaset, insomma, hanno la possibilità di spartirsi la fetta più consistente del mercato pubblicitario tagliando fuori l’emittenza locale e le reti satellitari dell’universo Sky, in virtù di dati che troppo spesso soffrono di “scarsa attendibilità, parzialità ed erroneità”, come rilevato nel 2005 dalla Corte d’Appello di Milano, nella consapevolezza che gli stili di vita, le modalità di consumo mediatico e la stessa offerta televisiva sono radicalmente mutati nello spazio di pochi anni.
QUALE FUTURO PER L’AUDITEL? – Molte le domande che rimangono aperte, suffragate da una certezza che pare ormai incontestabile: l’Auditel, tra chi vorrebbe rottamarlo e chi vorrebbe semplicemente rinnovarlo, non sembra in grado di reggere il peso, variegato e multipiattaforma, della fruizione televisiva contemporanea. Un panel di 5.000 unità sembra quantomeno riduttivo, limiti tecnici come la sovrapposizione dei segnali (che provoca confusione fra i canali effettivamente sintonizzati), un sistema di governance inadeguato alla moltiplicazione dei canali, un aggiornamento praticamente nullo del campione e dell’armamentario tecnico (fatta eccezione per il meter UNITAM, introdotto nel 2005 e basato sulle frequenze audio registrate per ogni singolo programma) sono gli aspetti critici ancora aperti cui si stenta a dare una risposta. Il direttore generale di Auditel, Walter Pancini, getta acqua sul fuoco, sottolineando come il nostro sistema di rilevazione degli ascolti sia assolutamente all’avanguardia: “Il panel è passato dalle 2.500 famiglie del 1996 alle oltre 5.000 attuali. L’Auditel, inoltre, misura anche l’ascolto differito, cioè i programmi registrati e rivisti, e ci prepariamo a monitorare gli utenti che guarderanno i programmi su altri schermi, come il pc e l’iPad”. Quest’ultimo aspetto non è ancora stato chiarito, in particolar modo negli strumenti che verranno ipoteticamente utilizzati. L’impressione generale è comunque quella di un sostanziale scarto fra un sistema che dal 1984 è cresciuto ben poco, a fronte dei repentini cambiamenti che la società italiana, e il consumo mediale in particolare, hanno attraversato negli ultimi due decenni. La sfida del rinnovamento, per l’Auditel, sembra essere appena agli inizi. La domanda è: ci sarà la volontà di raccoglierla?