Quella di Jennifer e June Gibbons, conosciute come “The silent twins” è una storia singolare, unica, eppure paradigmatica di un insolvibile e tragico conflitto di identità. Un caso che ha aperto squarci oscuri nella psichiatria e che ha affascinato una folta schiera di persone. Unite dal vincolo biologico dell’essere nate gemelle, l’11 aprile del 1963 nell’isola Barbados, Jennifer e June diventano le protagoniste di una vicenda intrisa di passione e mistero con accenti di ineluttabile dramma. La storia non può che concludersi con la strana morte di una delle due sorelle.
I Gibbons si trasferirono a Haverfordwest, nel Galles (il padre era luogotenente nella RAF) poco dopo la nascita delle piccole. Proprio stabilirsi in un quartiere conservatore e retrivo come quello del Dale Road, dove erano l’unica famiglia di colore, è causa di una condizione di disagio e isolamento per la famiglia. Intanto le piccole muovono i loro primi passi dimostrando da subito un’intelligenza sopra la media. Il loro intelletto acuto e la loro spiccata sensibilità le rendono due bambine ‘speciali’ che hanno difficoltà ad approcciarsi con il mondo e si stringono nel loro rapporto simbiotico. Dall'età di 8 anni Jennifer e June smettono di parlare con gli altri, compresi i genitori e elaborano un codice linguistico che usano per comunicare solo tra loro. Quando i medici le esaminano rimangono impressionati e colpiti dalla sorprendente lentezza con cui si muovo all’unisono, come dei robot. A scuola, osteggiate dai compagni e isolate persino dagli insegnanti, rifiutano di parlare. Sono straniere, appartenenti a un’etnia diversa e con quel loro linguaggio criptico sono inquietanti. Inoltre prendono a muoversi in sincrono, come se si guardassero allo specchio. Preoccupati i genitori decidono di separarle affidandole a due istituti psichiatrici diversi, così da spezzare quel legame che ne soffoca l’individualità. L'esperimento si rivela un fallimento: quando sono lontane le bambine cadono in uno stato catatonico.
Se è vero che a scuola si rifiutano di studiare e di parlare, quando sono a casa le sorelline sono invece attivissime. Nella loro stanza, tra decine e decine di bambole, danno sfogo alla loro curiosità e alla loro creatività: leggono una quantità di libri, disegnano, scrivono poesie, romanzi e racconti. Mettono perfino su, per gioco, ‘Radio Gibbons', in cui si divertono a emulare i palinsesti radiofonici con programmi sulla cucina, sul meteo e perfino sulle questioni di cuore. Lo fanno insieme, perché mangiare, lavarsi, dormire e vivere è possibile solo se si fa insieme. Pubblicano perfino dei libri, a loro spese. Scioccante è Pepsi-Cola Addict, dove un ragazzino viene sedotto dall’insegnante, finisce in riformatorio e una guardia carceraria omosessuale abusa di lui.
Ma questo abbraccio strettissimo non è una comunione felice, ma un connubio tra un dominante e un dominato. È con l’arrivo della pubertà che il loro legame cambia. L’altra, da metà irrinunciabile diventa semplicemente un doppio, un alterego insopportabile che custodisce e rivendica una parte di identità, di coscienza, di memoria. Di vita. Neanche questo conflitto le separa, piuttosto ne orienta la spinta vitale verso la distruzione. Le gemelle si danno a piccoli crimini, tra cui insignificanti furti ma anche incendi dolosi che le portano, a17 anni, dritte in tribunale. Durante il processo rimangono, come sempre, in silenzio, attirandosi la condanna a tempo indeterminato alla reclusione all’ospedale psichiatrico criminale di Broadmoon. Una sentenza durissima pronunciata alla presenza di decine di giornalisti venuti da ogni parte a seguire il caso delle ‘gemelle mute’.
Come sempre Jennifer e June scelgono il loro universo privato, oppongono il loro micronucleo a quello della comunità che le disconosce e le condanna all’isolamento. Pericolose sì, ma anche enigmatiche, criptiche, tanto da meritarsi l’esilio da quella società respinta, ma anche respingente. Nel manicomio criminale vengono curate con potenti dosi di farmaci antipsicotici che spengono la loro vena creativa e il loro interesse per ogni attività. Come se non bastasse vengono separate e viene permesso loro di incontrarsi soltanto in alcuni orari. Intanto, con l’enorme risonanza del processo, le due sorelle avevano attirato l’attenzione di Marjorie Wallace del Sunday Times. La giornalista vuole scrivere la loro storia. È forse quello l’unico modo di entrare in contatto con loro: avvicinarle per decodificare i segni di quel legame inestricabile per poi disvelarlo agli altri. Il lavoro dietro al libro che chiamerà “Silent twins” include interviste a familiari, conoscenti, psicologi, personale carcerario, ma anche lo studio di centinaia di pagine del loro diario scritte con grafia minutissima, quasi illeggibile
Nel marzo 1993 finalmente viene disposto per le gemelle un regime meno restrittivo. Le ragazze si preparano al trasferimento alla Caswell Clinic di Bridgend, nel Galles. Mentre viaggiano sull’autobus, Jennifer appoggia la testa sulla spalla della sorella, come per dormire: June nota subito che ha gli occhi sbarrati. Arrivata al pronto soccorso Jennifer muore. I medici attribuiscono quel decesso inspiegabile a una miocardite infettiva, ma non escludono che la ragazza possa aver ingerito qualcosa che abbia provocato la morte, sebbene non ne trovino traccia. La morte appare ancora più inquietante quando Marjorie Wallace parla alla stampa di un patto tra le due ragazze per il quale una delle due sarebbe morta per lasciare all’altra la possibilità di vivere una vita normale. Jennifer, la sorella dominante, quella che era in grado di comandare i movimenti di June con un impercettibile segnale degli occhi, come fosse un robot, avrebbe infine scelto la morte perché una vita divisa in due non era più possibile. La sua scomparsa improvvisa resta un mistero. Oggi June vive non lontano dai genitori, ha cominciato a interagire con gli altri e ha rilasciato perfino interviste. Non vuole più parlare del suo passato.
La vicenda delle gemelle Gibbons ancora oggi è oggetto di studi scientifici, ma soprattutto resta una delle storie che hanno scavato nel profondo delle coscienza collettiva, erodendo la coltre di una società che di fronte a un caso così complesso ha isolato invece di accogliere, punito piuttosto che curare.