"Noi siamo prontissimi a collaborare con tutte le forze contro il leghismo, contro il berlusconismo, contro il populismo. E quindi certamente anche con il professor Monti". In un momento di estrema incertezza e nel pieno della campagna elettorale per le elezioni, basta una considerazione di questo tipo per riaprire un dibattito che solo pochi giorni fa sembrava sostanzialmente chiuso. Come vi raccontavamo, la favola dell'accordo già scritto tra Monti e Bersani era sostanzialmente finita nel dimenticatoio con l'emergere di alcune fratture incolmabili tra i due schieramenti, ma soprattutto con la constatazione della difficoltà di far coesistere spinte (interne) completamente divergenti. Poi, vuoi per il peso dei sondaggi (che continuano a mettere in dubbio l'autosufficienza del centrosinistra al Senato della Repubblica), vuoi per il ritorno col botto di Berlusconi (con la sua proposta – promessa shock che ha monopolizzato l'attenzione dei media), vuoi per la risalita del Movimento 5 Stelle (non solo nei sondaggi), fatto sta che il clima sembra essere leggermente cambiato. Ce lo ha confermato in parte Guglielmo Epifani, ospite nel nostro corner, parlando dei veri "nemici" dei democratici in queste politiche: la destra, il populismo, la Lega Nord, il qualunquismo.
Una convergenza per ora solo possibile, non probabile. Perché le distanze sui temi sono enormi e malgrado la sindrome da accerchiamento e la possibilità di clamorose rimonte berlusconiane o di veri exploit grillini, il vero spauracchio si chiama ingovernabilità. Che è cosa ben diversa dal pareggio, che pure resta il risultato quasi certo delle urne (date le difficoltà del centrosinistra in Lombardia e Sicilia e la sconfitta certa in Veneto). È il terrore di tornare a votare entro pochi mesi a spingere i due contendenti a cercare la via della distensione. Una sorta di desistenza mascherata, in pratica. Perché è chiaro a tutti che arrivare alla urne con un clima di tensione estrema fra centristi e democratici comporterebbe cominciare con una forte pregiudiziale una legislatura nella quale, bene che vada, Bersani si troverà a governare con 4 – 5 senatori di margine. E né il segretario democratico né il professore possono permettersi di far naufragare il nuovo esecutivo dopo pochi mesi. Ne va della tenuta del Paese ed in minima parte della loro sopravvivenza politica. Anche perché è chiaro a tutti che se si andasse a votare nuovamente entro pochi mesi a beneficiarne sarebbero "i non allineati", la Lega al Nord ed il Movimento 5 Stelle un po' ovunque. Con esiti non del tutto controllabili. Molto meglio, nell'ottica bersaniana – montiana, una transizione morbida verso un Governo di intesa, secondo un percorso da completare "durante" la legislatura. Non prima, né tantomeno in campagna elettorale, perché l'obiettivo immediato resta sempre quello di limitare i danni e non disperdere ulteriormente il consenso.