video suggerito
video suggerito

L’antimafia ideologica e il caso Maniaci

Chi avrebbe mai pensato che anche il movimento antimafia, uno dei migliori frutti della società civile organizzata, potesse trasformarsi in una contesa iconoclasta?
A cura di Marcello Ravveduto
85 CONDIVISIONI
Immagine

L’inchiesta su Pino Maniaci ha lasciato con l’amaro in bocca molti militanti del movimento antimafia. L’ho incontrato un paio di volte in dibattiti pubblici e non posso dire di conoscerlo al di là delle battaglie per cui è diventato famoso.

In realtà, e non è una riflessione con il senno del poi ovvero maturata dopo la notizia delle accuse, che il suo modo di presentarsi non mi è mai piaciuto. Quella instancabile necessità di essere sempre in prima linea, di essere ad ogni costo visibile, di dire per forza quello che gli altri non dicono, di dover esercitare obbligatoriamente il fascino della controinformazione non mi ha mai convinto né in lui, né in tanti altri che praticano il solipsismo dell’antimafia.

Se fosse vero (e un’intercettazione telefonica instilla molto più di un dubbio) il castello di accuse (dal quale mi auguro, per lui e per la sua famiglia, ne esca più immacolato di prima), sarebbe l’ennesima goccia di un vaso già traboccante.

Il “valzer delle false promesse” è cominciato con l’operazione “Inganno” in cui è stata coinvolta Giusy Canale che nel gennaio di quest’anno è stata condannata dal Tribunale di Locri a quattro anni di reclusione. Si sono avuti poi gli attacchi a don Ciotti e a Libera provenienti da ex dipendenti, da un illustre familiare di vittima come Franco La Torre e dal magistrato Catello Maresca.

Non dimentichiamo l’arresto di Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo, ritenuto paladino dell’antimafia e le vicende similari di Antonello Montante, Presidente siciliano di Confindustria (e delegato nazionale per la Legalità) e degli imprenditori Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice che avevano fatto della lotta alla mafia la bandiera della propria attività.

Sempre in Sicilia, al Tribunale di Palermo, è venuto fuori lo scandalo della custodia giudiziaria dei beni sequestrati ai clan di Cosa nostra. Infine è la volta del Coordinamento Riferimenti finito sui giornali per presunti sprechi di denaro pubblico. La Commissione Antimafia, intanto, ha avviato un’indagine conoscitiva sulle pieghe oscure del movimento antimafia.

Mi sarà sfuggito qualche episodio, ma l’unico dato certo è che se cala la notte tutte le vacche diventano nere e sarà difficile distinguere quelle bianche dal resto della mandria.

Tra professionisti, volontari e militanti dell’antimafia si respira un’aria pesante e l’ossigeno diventa sempre più rarefatto se si prova a sondare i rapporti tra associazioni e opinion leader nei livelli territoriali. Giorno dopo giorno invidie, inimicizie, gelosie, protagonismi e mitomanie occultamente striscianti si solidificano in ostacoli palesemente contrastanti.

Spaccature, risapute e taciute, incrinano ormai il vertice e la base. Chi avrebbe mai pensato che anche uno dei migliori frutti della società civile organizzata potesse trasformarsi in una contesa di potere tra correnti avverse pronte a combattere una guerra iconoclasta?

Da quando l’antimafia sociale è stata istituzionalizzata attraverso il sostegno di risorse pubbliche e il riutilizzo dei beni confiscati ha cominciato a produrre reddito, si è scatenata una bagarre per accaparrarsi i nuovi utili della legalità. Ci si mette il vestito buono, si cominciano a raccontare quattro fesserie intrise di retorica buonista e si prova ad entrare in qualche circuito associativo, sfruttandone il buon nome.

Così è degenerato lo spirito originario di una comunità d’impegno civile che lavora su base volontaria e gratuita. Molti hanno trovato nella crescita del movimento e nella sua conseguente burocratizzazione (la burocrazia è sempre un modo per governare un ampliamento di attività e servizi) un’occasione di lavoro entrando a far parte di un funzionariato civile che ha preso il posto di quello politico.

Del resto, la crescita del movimento è stata contestuale alla spoliticizzazione di massa degli italiani. Per la prima volta la società civile ha avuto lo spazio per organizzarsi autonomamente dai partiti sia inseguendo nuovi modelli di rappresentanza, sia dedicandosi ad alcuni temi specifici. Tuttavia, proprio il lungo dominio della partitocrazia (e l’assuefazione alle sue modalità operative) ne ha influenzato sia la condotta esecutiva, sia l’orizzonte ideale.

Dei partiti, pur considerati antagonisti, sono stati incorporati sia i fattori positivi (l’elaborazione concettuale e la selezione dei dirigenti) sia quelli negativi (la frammentazione e il clientelismo). Come i corpi intermedi di un tempo, le associazioni e le organizzazioni non governative hanno occupato un’area d’interdizione tra Stato e società, in supplenza della politica. Anzi la politica, come coagulo di valori e interessi, è il loro principale scopo.

Questo è il motivo che spinge decine, centinaia di politici mancati o trombati a ricoprire ruoli di primo piano nel settore: incapaci di conquistare una posizione di potere all’interno di un partito (o esclusi dai processi decisionali) si sono dedicati all’impegno civile con l’obiettivo di rientrare, con una nuova verginità, nel luogo da cui sono stati allontanati.

Ciò ha comportato la formazione di un associazionismo para-partitico fortemente ideologizzato con robuste venature fondamentaliste: la mia battaglia per l’ambiente, la sanità, la legalità ecc. è l’unica vera battaglia e chi la ostacola è un nemico da combattere. Un atteggiamento che la dice lunga sull’assenza di cultura laica nel nostro paese.

Il paradosso è che il processo di radicamento si è realizzato mentre la politica si deideologizzava, cosicché l’impegno civile organizzato (insieme al sindacato, con il quale spesso si allea) è rimasto l’ultima forma ideologica a cui aggrapparsi in un mondo liquido.

Che nesso ha il ragionamento fin qui svolto con il caso di Pino Maniaci? Se l’antimafia, come altri temi di lotta civile, ha assunto le sembianze dell’ideologia può accadere che alcuni la sfruttino per giustificare i propri comportamenti. I sacerdoti delle teorie dottrinarie sono intoccabili e quindi, dietro i paramenti sacrali, possono celare verità secolari assolutamente dissonanti con gli obiettivi trascendentali professati.

Ciò non toglie che colpire il movimento antimafia è particolarmente gratificante per quanti sono alla ricerca di visibilità: le macchie di fango si notato di più sugli abiti bianchi.

85 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views