Iscritti fantasma all’Ugl, i lavoratori portano il sindacato in tribunale: “Gonfia i numeri”
“Se vuoi continuare a essere chiamato, devi firmare un nuovo contratto”. Suona più o meno così, la mail che nelle settimane scorse migliaia di rider in tutta Italia hanno ricevuto dalle piattaforme per conto di cui fanno le consegne. Un esercito di persone, giovani e meno giovani, si è trovato così in una situazione paradossale: rischiare una sorta di “licenziamento” da un rapporto di lavoro che formalmente è autonomo. Per di più, con la ghigliottina di un contratto che in teoria dovrebbe tutelare i loro diritti. Sullo sfondo si addensano i dubbi sulla reale rappresentanza tra i lavoratori di chi ha firmato quel contratto. Una vicenda che è finita anche in tribunale e rischia di coinvolgere addirittura esponenti di primo piano della Lega di Matteo Salvini.
L’accordo in questione è quello siglato il 16 settembre scorso da Assodelivery, la sigla che riunisce le principali società del settore, e il sindacato di destra Ugl. Una firma annunciata a sorpresa, mentre l’associazione datoriale stava trattando con altri sindacati – Cgil, Cisl, Uil e Riders Union – per dare attuazione alla legge approvata nel 2019, che fissa regole e tutele da applicare ai fattorini del cibo.
Ugl non sedeva ai tavoli istituzionali di negoziazione, l’intesa con Assodelivery è dunque arrivata con una trattativa parallela: i critici lo hanno definito un accordo pirata. “È un sistema che non possiamo accettare”, dice a Fanpage Yiftalem Parigi della NIDIL CGIL di Firenze, primo rappresentante dei lavoratori per la sicurezza eletto dai rider. Anche a Yiftalem – 21 anni, rider da quando ne aveva 18 – è arrivata una mail dalla sua piattaforma, che lo invitava ad aderire al nuovo contratto per continuare a lavorare.
Cosa non va nel contratto dei rider
Il problema, spiega il sindacalista, è che quel testo aggira molti dei diritti e delle tutele, previsti dalla legge del 2019. Soprattutto, dice Yiftalem Parigi, mantiene il metodo di pagamento a cottimo, sulla base cioè delle consegne effettuate. La norma del governo, invece, stabiliva la necessità di una paga minima oraria, calcolata riferendosi a Contratti Collettivi Nazionali di settori affini, come quello della logistica o del commercio. Una parte dei rider chiede poi di essere riconosciuti come lavoratori subordinati.
Le grandi sigle sindacali si sono ribellate contro il contratto firmato da Ugl. Con una mossa inedita, anche il ministero del Lavoro ha inviato una circolare in cui mette in luce diverse criticità. I rider di tutta Italia si sono mobilitati per contestare l’intesa e hanno già ottenuto alcuni risultati. Just Eat, infatti, ha rotto il fronte delle società di delivery e ha annunciato che nel 2021 assumerà tutti i suoi fattorini. Assodelivery intanto ha accettato di tornare a sedersi al tavolo negoziale, che si è riunito di nuovo l’11 novembre, senza però per il momento arrivare a una mediazione.
Nel frattempo, la Cgil ha avviato alcune cause per chiedere che i tribunali dichiarino l’illegittimità della firma tra le piattaforme e l’Ugl. “Lo consideriamo un accordo di comodo, finalizzato più all’utilità del sindacato che dei lavoratori”, dice Tania Sacchetti, segretaria confederale Cgil. E spiega: “Si garantiscono permessi sindacali e pagamento dei distacchi solo ai firmatari del contratto, quindi solo a Ugl”.
Chi rappresenta l’Ugl?
La circolare del ministero del Lavoro del 17 settembre non contesta solo il merito del contratto tra Assodelivery e Ugl, ma mette in dubbio lo stesso diritto del sindacato a siglare l’accordo in solitaria. La lettera preparata degli uffici del ministro Catalfo, infatti, sottolinea che a trovare l’intesa debbano essere le organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Per firmare da sola, si dice nel testo, l’Ugl dovrebbe quindi rappresentare la maggior parte dei rider di tutta Italia. Il punto è delicato, perché nell’accordo contestato i ciclo-fattorini non sono inseriti in un settore definito – come quello della logistica – dove sarebbe possibile misurare la rappresentatività. Secondo Yiftalem Parigi, tuttavia, “è sicuro che i numeri di Ugl non sono superiori a quelli di Cgil,Cisl, Uil e Union messi assieme”.
Il responsabile Lavoro del Pd Marco Miccoli dice a Fanpage: “Questa situazione si risolve solo con una legge sulla rappresentanza sindacale, che ancora non c’è”. Miccoli racconta che la pratica di firmare accordi separati non è nuova per l’Ugl. Lo aveva già fatto per i lavoratori dei call center, accordandosi con Assocall, un’associazione estranea a Confindustria e alle grandi imprese del settore. Anche quello era stato considerato un accordo a ribasso, che lasciava spazio tra l’altro alle società per pagare i lavoratori solo i minuti effettivi trascorsi al telefono. “Un vero e proprio sfruttamento selvaggio”, lo ha definito la deputata M5S Tiziana Ciprini, in un’interrogazione parlamentare del 2019. Secondo quanto risulta a Fanpage, situazioni simili si sono verificate negli anni scorsi anche nel settore della logistica e in quello della pulizia e manutenzione degli alberghi.
Il mistero sui numeri dei sindacati
“Se ci fosse una legge che determina chi è autorizzato a sottoscrivere gli accordi, probabilmente l’Ugl non avrebbe potuto firmare quei contratti”, conclude Miccoli. Il dibattito sulla rappresentanza sindacale è da decenni uno dei più aspri nel mondo del lavoro e affonda le radici nell’interpretazione dell’articolo 39 della Costituzione, che sancisce la libertà di organizzazione sindacale. Per colmare almeno in parte il vuoto normativo, nel 2019, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato una convenzione per misurare le rappresentatività nel privato. D’ora in poi, le imprese invieranno i dati sulle deleghe sindacali all’Inps che provvederà alla loro raccolta ed elaborazione per poi comunicare il peso delle diverse sigle nei vari settori.
Poiché, ovviamente, questa convenzione non ha la forza di legge, l’Ugl si è potuta sfilare non siglando il patto, per cui per il sindacato di destra rimarranno in vigore le regole attuali, che non permettono di stabilire la sua reale consistenza. O almeno non in modo completo. Per il pubblico impiego, i dati sono raccolti dall’Aran e dunque abbiamo una fotografia precisa. Dalle tabelle, viene fuori che, in molti comparti, l’Ugl ha subito negli ultimi anni un’emorragia di iscritti e occupa ormai un ruolo marginale. Nel privato, la misurazione della rappresentanza è più complessa. Al momento, infatti, ci si basa su alcuni dati, comunicati dagli stessi sindacati. Il più importante è quello della “consistenza associativa”, cioè il numero degli iscritti al sindacato. Sono le stesse organizzazioni a comunicare al ministero del Lavoro questa cifra, con un’auto-dichiarazione.
I lavoratori denunciano l’Ugl: i nostri dati sono falsi
Il fatto è che sono gli stessi iscritti all’Ugl a mettere in dubbio la correttezza dei dati auto-dichiarati dal sindacato al ministero. Fanpage, infatti, ha potuto visionare un esposto presentato da circa cento lavoratori ugiellini alla procura di Roma, che aperto un’indagine per verificare se quelle dichiarazioni certificano il vero o il falso. Nella denuncia, si calcola il dato reale degli iscritti in base a quanto incassato dalla confederazione tramite le deleghe. In sintesi, il sistema delle deleghe funziona così: ogni lavoratore, può chiedere alla sua azienda di trattenere una quota dalla propria busta paga (solitamente l’un percento della retribuzione lorda) e versarla all’organizzazione sindacale a cui aderisce. Nell’esposto, si allega la tabella con il gettito complessivo di questi versamenti del 2018, pari a otto milioni 199 mila e 455 euro. Come detto, la cifra versata da ciascun lavoratore non è fissa, ma calcolata in base alla retribuzione. Nella denuncia, con una valutazione prudente, si stima una media di 10 euro a delega per mese, 120 euro l’anno in media pagati da ogni iscritto. Dividendo il totale dell’incasso per questo numero, nelle carte della denuncia consultate da Fanpage si arriva a calcolare che l’Ugl abbia tra i 65mila e i 70mila iscritti.
Quali sono, invece, i numero auto-dichiarati? Fanpage lo ha chiesto al ministero del Lavoro, ma ci è stato risposto che i dati non sono pubblici. Cgil, Cisl e Uil tuttavia diffondono le tabelle con le cifre degli iscritti sui loro siti web. Sul portale dell’Ugl, invece, non ce n’è traccia. Siamo riusciti, però, a visionare i documenti del ministero relativi al 2015: per quell’anno, l’Ugl dichiarava un milione 953mila e 186 iscritti, di cui quasi 512mila pensionati e circa 49mila nel pubblico impiego. Possibile, che in tre anni, la cifra sia precipitata a soli 65 o 70mila? Non è così, a sentire le dichiarazioni pubbliche del segretario generale ugiellino Paolo Capone. In un’intervista televisiva del settembre 2019, Capone affermava ancora che “l’Ugl pesa un milione e 800mila lavoratori”. È questa la cifra dichiarata nel 2018 al ministero? E se sì, perché dai calcoli sui soldi delle deleghe, viene fuori un numero oltre venti volte inferiore?
“Il ministero si deve fidare dei sindacati, la Costituzione non consente di fare verifiche”, spiegano dagli uffici di via Veneto. E specificano che i rappresentanti legali delle confederazioni si assumono la responsabilità legale di quello che dichiarano, se è falso ne risponderanno penalmente. Già, in passato, d’altronde, i numeri dell’Ugl erano stati messi in discussione. Una sigla sindacale autonoma, la Confsal, ha più volte contestato i dati del sindacato rivale, sottolineando ad esempio che nel 2010 i pensionati dichiarati fossero il 90 percento in più di quelli certificati dall’Inps.
Il leghista Durigon e quel ruolo all’Inps
Stabilire il reale peso dell’Ugl non servirebbe solo a capire a quali tavoli di trattativa può partecipare e quali contratti può firmare. Quel numero è determinante anche per le nomine negli organismi a partecipazione sindacale. Si tratta di ruoli in strutture della pubblica amministrazione, assegnati dalla presidenza del Consiglio, sulla base dei dati delle auto-dichiarazioni. Sono circa duecento poltrone in totale, la più prestigiosa è quella al Cnel. Tra gli altri posti suddivisi con questo metodo, c’è anche quello nel Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps. In quota Ugl, dal luglio 2018 nel Civ dell’istituto previdenziale siede Paolo Mattei, che secondo i dati più recenti per il ruolo percepisce un’indennità annuale da 14mila 500 euro, oltre ai rimborsi spese (più di mille euro nel 2019). Mattei è anche coordinatore della Lega per la provincia di Rieti, a confermare l’ormai solido legame tra Ugl e il Carroccio.
Non è tutto. Prima di Mattei, come membro del Civ dell’Inps a nome dell’Ugl c’era quello che poi sarebbe diventato un big del partito di Matteo Salvini: l’ex sottosegretario al Lavoro e attuale deputato Claudio Durigon. Durigon ha ricoperto l’incarico dal maggio 2016 al luglio 2018, fino a quando è entrato in parlamento e nel governo gialloverde. Nello stesso periodo, l’attuale deputato era anche vicesegretario Ugl, con delega all’amministrazione e al tesseramento. Era lui, insomma, ad avere in mano la cassa dell’Ugl e a ricevere le quote delle deleghe da tutta Italia. Nessuno meglio di lui, quindi, poteva sapere quanti erano in quel periodo i reali iscritti, anche se poi le auto-dichiarazioni venivano firmate dal segretario Capone. Secondo i lavoratori dell’Ugl che hanno denunciato il sindacato, anche il posto di Durigon all’Inps sarebbe dunque stato ottenuto illegittimamente, indicando un numero d’iscritti non rispondente al vero, così da trarre in inganno la presidenza del Consiglio.
Al di là delle azioni della magistratura, un’operazione di trasparenza da parte dell’Ugl sembra necessaria. Specie nel momento in cui ci si prende la responsabilità di decidere il destino di migliaia di rider che percorrono le strade e suonano alle nostre porte in tutto il Paese.