Potrebbe essere un romanzo di Andrea Camilleri se non fosse che qui la paura, le minacce e soprattutto i mancati guadagni sono reali e pesano sulla vita di Irene, Ina e Anna Napoli, tre sorelle che gestiscono un'azienda agricola a Mezzojuso, nel cuore della provincia palermitana e sono sotto scacco delle intimidazioni mafiose dei fedelissimi di Bernardo Provenzano che nella zona stanno prepotentemente vessando gli agricoltori. «È come se, spinta dalla crisi, Cosa Nostra stia tornando alle campagne, – ha spiegato il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari intervistato da The Guardian che proprio in questi giorni ha raccontato la storia delle tre sorelle – lontano dalla pressione delle autorità nelle grandi città i mafiosi sembrano aver trovato un rifugio sicuro.»
Da tre generazioni la famiglia Napoli coltivava fieno e grano nelle sue terre e alla morte del padre nel 2009 Irene, Ina e Anna hanno deciso di proseguire l'attività di famiglia. Dal 2006 al 2014 le minacce e i raid delle cosiddette "vacche sacre" (i pascoli che fanno riferimento a uomini del clan) hanno imperversato rovinando il raccolto e mettendo a rischio la sostenibilità dell'azienda. Poi sono arrivate le offerte esplicite: 5.000 euro all'anno per gestire i 90 ettari di famiglia. Gli uomini di Cosa Nostra hanno pensato che le tre zitelle non avessero la forza di resistere a lungo. Loro invece hanno declinato l'invito e così le minacce (e il pascolo illegale sulle loro terre) è continuato con ancora più prepotenza. Ogni volta le tre sorelle hanno raccolto le prove e presentato denuncia: sono ben 28 gli episodi denunciati all'autorità giudiziaria dal 2014 ad oggi ma la ribellione ha isolato ulteriormente la famiglia. Ora è ancora più difficile trovare lavoratori che accettino di prestare servizio e qualcuno si è anche spinto a "consigliare" di ritirare le denunce per evitare "che le cose peggiorino".
Qualche mese fa c'è stato l'ultimo avvertimento: la mafia ha consegnato le pelli di tre pecore, una minaccia in pieno stile mafioso. Intanto il declino dell'azienda appare inesorabile e nell'ultimo anno sono state prodotte solo 330 balle di fieno (il raccolto del grano è andato completamente perduto) e il guadagno totale dei 12 mesi di lavoro, racconta Anna, è stato di 660€. «Qualcuno deve indagare su tutti i reati accaduti dal 2009 ad oggi» spiega l'avvocato della famiglia, Giorgio Bisogna. L'agricoltura sta tornando ad essere un settore interessante per Cosa Nostra poiché fanno gola i sussidi comunitari e perché lo strapotere della ‘ndrangheta nel mercato della droghe costringe la mafia siciliana a reinventarsi per trovare utili. L'allarme è stato lanciato da tempo anche da Coldiretti e sono in aumento le richieste di pizzo a contadini e agricoltori. Per questo la storia di Irene, Ina e Anna è una storia da prendere terribilmente sul serio.