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“Io prima di te”: caro Will ecco perché mi stai sul ca**o

Una storia d’amore trita e ritrita, piena di luoghi comuni tipici della filmografia sulla disabilità. Ma la realtà è un’altra.
A cura di Iacopo Melio
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“ In questo film manca la vita, quella vera ”
So già che questo articolo non vi piacerà. Come sapevo che se avevo fino ad ora rimandato la visione del film "Io prima di te", un motivo c'era. E infatti c'era: evitarmi un travaso di bile, dato che avevo previsto pure il finale, captando qualcosa qua e là (soprattutto dai sensibili entusiasmi femminili che, per carità, meritano il massimo del rispetto). Solo che quando un uomo si ritrova a letto con 37,5 di febbre qualche cazzata dovete pur aspettarvi che la faccia. Per forza. Inoltre vi voglio troppo bene per ignorare le vostre richieste: mi avete tartassato chiedendo per quasi un anno un mio commento su questo "capolavoro", e allora eccolo. Sarò schifosamente diretto, e spietato, come sempre quando vengono banalizzati i miei princìpi. Come ogni mamma che difende i propri figli. Vi avverto che sarò anche un tantino lungo. Magari salvatevi il link e leggetemi dopo… Che io adesso incomincio, per finire prima possibile.

Premessa di dovere: non sto facendo una recensione tecnica. Ammetto di non averne le competenze nonostante sia un appassionato di cinema e fotoamatore. Non è una recensione tecnica perché non mi importa nulla della fotografia, dell'intesa tra gli attori, della scelta dei dialoghi o dell'uso delle luci. Mi interessa la cosa più importante, sviscerare quello che "Io prima di te" ha instillato nella testa e nella pancia di chi si è alzato dalle poltroncine del cinema dopo averlo visto e, magari, ci ha addirittura pianto: un mare di cazzate.

Tanto per iniziare, ci troviamo davanti ad una storia d'amore trita e ritrita, piena di luoghi comuni tipici della filmografia sulla disabilità. Il partner "abile" di solito è lei, perché si sa che la "sindrome da crocerossina" è uno dei pochi motivi per cui una ragazza dovrebbe essere disposta ad accollarsi un disabile (spoiler: sarò molto sarcastico, complice anche la febbre). Lei che ha un carattere stereotipato: è impacciata quanto basta, ma ironica ed estroversa, ai limiti del rompipalle petulante, caratteristiche indispensabili per poter superare il muro della disabilità e rapportarsi col diverso. Come se per "sopportare" noi disabili ci debbano volere delle persone borderline, strane, e per questo in grado di attirare subito la simpatia del pubblico (cercate "Louisa Clark" su google e tra i primi risultati troverete "dove acquistare calze ad ape di Louisa").

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Fino a qui non ci sarebbe nulla di così grave, se consideriamo che comunque, realisticamente, una persona che sceglie di costruire il proprio futuro accanto ad un partner disabile deve comunque essere in grado di andare oltre, di amare a prescindere dalle possibilità e dalle difficoltà che si pareranno, scindendo il corpo dalla testa. La superficialità, certo, non è la via più giusta per prendere la rincorsa e slanciarsi verso un'avventura così forte. E in questo, tanto di cappello a Lou che dimostra di amare, di saperlo dare e volerlo ricevere, nel modo più giusto. Il vero problema qui è lui, il classico uomo d'affari che conosce solo disagi esistenziali e non ha la benché minima idea di cosa sia una barriera architettonica o sociale, semplicemente perché inserito in una narrazione più comoda e di impatto, ma lontanissima dalla verità. Errore immenso, prevedibile, che lascia il realismo fuori dalle sale cinematografiche.

Will infatti mi è rimasto antipatico fin da subito. E non tanto perché, po'raccio, incazzato col mondo (un minimo di giramento di coglioni credo sia più che concesso se ti ritrovi paralizzato dall'oggi al domani) quanto per la trama davvero scontata, in un dejavù che troppo si avvicina al (reale capolavoro) "Quasi Amici", che ci fece piangere e abbracciare tanto che il tuo migliore amico lo avresti infilato in un carrello del supermercato pur di provare a spingerlo e replicare qualche scena con lui… Ma con Will no, non funziona. Perché diciamocelo, questa storia del miliardario viziatello che sceglie l'eutanasia perché è la strada più semplice rispetto a quella di affrontare la propria condizione ed accettare il non poter più condurre la vita di prima, spalancandosi comunque alla meraviglia quotidiana, ha stancato. Ed è l'insegnamento peggiore che si possa dare, per giunta se viene spacciato come atto d'amore, come sacrificio ultimo per la felicità di chi ci è accanto.

Andate a parlare di "capolavoro" a chi deve scontrarsi ogni giorno con la realtà, quella vera. A chi vi parlerà di marciapiedi dissestati o trova le auto parcheggiate ovunque da emeriti imbecilli. Andate a raccontare questa trama a chi è dovuto finire in una casa popolare perché la propria, natale, aveva  troppe scale e zero ascensori. Andategli a dire che l'autonomia si conquista facilmente, basta pagarsi un assistente 24 ore su 24, e che di assistenti competenti c'è sempre un'ampia scelta (mitica la scena dell'agile "colloquio", che non manca mai) e che al massimo il candidato imparerà a gestire la situazione in un giorno o due, nemmeno si trattasse di fare il dog-sitter. Andategli a dire che se la propria macchina non è adatta ad una carrozzina, basta infilarla in garage e ricomprarne una nuova completamente accessibile, che ce vo'! Ditegli anche che a teatro, come Will, ci può andare chiunque, tanto la prima fila è sempre garantita, così come avere un posto in aereo sia un gioco da ragazzi, o prendere un treno.

Fatelo, entusiasti e commossi, e vi diranno che in questo film manca la vita, quella vera, fatta di sofferenza ma soprattutto di coraggio, di ferite ma sopratutto di occasioni nuove e tante altre ripartenze, di sconforto ma anche di tenacia, di dura consapevolezza ma anche di crescita. Perché se è vero che abbiamo tutto il diritto di farci sconvolgere dalla disabilità, è anche vero che abbiamo il dovere di trovare nuove prospettive attraverso le quali poter apprezzare tutto ciò che ci circonda. Perché ci sono migliaia di persone, ogni giorno, che hanno scelto di toccare il fondo affinché il sapore di ogni minima conquista, dopo, sia più dolce.

Ecco perché "Io prima di te" mi fa schifo, perché sputa negli occhi a chi una seconda vita come Will avrebbe tanto voluto poterla avere, nonostante tutto, anziché cestinarla per ripicca. D'altro canto siamo anche, o soprattutto, le nostre cicatrici. E sebbene mi troverete sempre schierato dalla parte della libertà individuale, compreso quella all'eutanasia, non ho alcun dubbio sul fatto che finché potremo "abbracciare" chi ci ama, in maniera consapevole e cosciente, ne varrà sempre la pena. Quindi, caro Will, lasciatelo dire: il tuo egoismo è quanto di più deleterio ci possa essere, perché oscura la reale bellezza dell'essere umano, quello fragile e incerto, assai lontano dall'idea di superuomo che, appunto, sta bene solo dentro a un cinema. Ma il miracolo della vita non è racchiuso in un "prima", perché solo accanto, "io insieme a te", si ama davvero. Ed è questa la vera perfezione, un NOI conquistato faticosamente a prescindere da tutto, tra mille rocambolesche capriole. L'unico vero atto d'amore, degno di qualsiasi gran finale.

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Laureato in Scienze Politiche (curriculum in "comunicazione, media e giornalismo"). Racconta le storie degli altri come giornalista, scrittore e attivista per i diritti umani e civili. Vincitore del Premio "Cittadino Europeo" nel 2017, è stato nominato "Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana" da Sergio Mattarella nel 2018.
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