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Morte del carabiniere Mario Cerciello Rega a Roma

Io, generale, vi dico chi ha inferto la tredicesima coltellata al carabiniere Cerciello Rega

La tredicesima e più dolorosa coltellata inferta al carabiniere Mario Cerciello Rega, ucciso a Roma da due giovani americani, è arrivata con la dichiarazione del Comandante Provinciale dei Carabinieri durante la conferenza stampa di ieri. Lo ha tacciato di “dimenticanza”, per non aver portato con sé l’arma di ordinanza la notte del delitto, che è circostanza di inaudita gravità per chi, come proprio pane quotidiano, ha la lotta ai criminali che incontra. Non si è reso un buon servigio alla memoria di un giovane Carabiniere.
A cura di Giuseppe Lenzi
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Mario Cerciello Rega, carabiniere
Mario Cerciello Rega, carabiniere
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Mi accingo a queste riflessioni alle 4 della notte del 31 luglio. Non sono ancora apparsi, sulla stampa (cartacea) nazionale, i resoconti della “conferenza stampa” di ieri e, pertanto, esprimo qualche considerazione senza condizionamenti esterni. Lunedì 29 luglio in S. Giuseppe Vesuviano, terra d’origine del Vice brigadiere dei carabineiri Mario Cerciello Rega, nella chiesa Santa Croce di Santa Maria del Pozzo, si è svolto il solenne rito funebre che ha visto la partecipazione di tutti i concittadini del carabiniere e di tante (troppe) autorità. Nell’occasione non poteva sottrarsi ad un intervento il Gen.le Com.te dei Carabinieri gen.le di Corpo d’Armata Giovanni Nistri.

Toccanti e nobili le espressioni di incommensurabile affetto rivolte al carabiniere Mario Cerciello Rega, adagiato nel tricolore a pochi metri dal Suo Comandante Generale, dalla moglie, dai parenti e dagli amici tutti. Il generale Nistri, riferendosi alla terribile immagine di Gabriel Christian Natale Hjorth, uno dei due ragazzi fermati, fotografato in manette, il capo reclinato, e con una benda sugli occhi ha detto: “Giusti i dibattiti, sono legittimi, ma teniamoli lontani, non oggi, e i toni non siano la dodicesima coltellata". E fin qui, nulla quaestio.

Fino alle 12,30 di ieri 30 luglio, quando nella sede del Comando provinciale dei Carabinieri di Roma, a piazza San Lorenzo in Lucina 6 si è tenuta una sciagurata conferenza stampa per rendere noti i dettagli delle indagini sull'omicidio del vicebrigadiere dei Carabinieri. Presente all’evento il procuratore della Repubblica di Roma, facente funzioni, Michele Prestipino. E' accaduto, infatti, che il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, generale di Brigata Francesco Gargaro, nell’avventurarsi in atti e fatti, tutti ancora al vaglio della Procura della Repubblica, se ne sia uscito con la più incredibile ed infelice delle espressioni che potesse concepire: "Cerciello aveva dimenticato l'arma nell’armadietto".Gelo in sala fra le centinaia di cronisti presenti. E, immagino, anche nei milioni di cittadini che assistevano alla diretta TV.

Questa gravissima ed inammissibile dichiarazione di leggerezza, di scarsa competenza, di dubbia professionalità (o come la si voglia, comunque, definire) attribuita ad un Carabiniere fino a qualche ora prima giudicato e descritto – da tutta l’Arma- come coraggioso, probo, generoso, professionale (e quant’altro bene si possa e si debba dire di un servitore dello Stato che ha perduto la vita a trentacinque anni) è ciò che nessuno avrebbe voluto mai ascoltare. Non sappiamo, nessuno sa, neppure il generale Francesco Gargaro, il motivo vero per cui il Cerciello, in quella notte romana, decise di non portare con sé l’arma in dotazione; che, si badi bene, è generalmente considerata come una seconda pelle per ogni carabiniere. Può essersi trattato di una grave dimenticanza, certo! Ma potrebbe, anche, essere stata una personale (discutibile) scelta operativa del carabiniere. Dichiarare urbi et orbi che il Cerciello aveva “dimenticato l'arma nell’armadietto” (dimenticanza, come detto, tutta da provare, ma di fatto improvabile) è stata un’improvvida scelta comunicativa che ha sortito un solo devastante effetto: far apparire il militare, come minimo, “disattento”, “facilone” “poco professionale”.

Cosa penseremmo di un medico chiamato sul luogo di un incidente senza, almeno, un laccio emostatico ? E cosa diremmo di un alpinista che s’avvia ad un soccorso senza, almeno, picozza e ramponi? E di un sub che s’avventurasse in un salvataggio senza respiratore? Come qualificheremmo tali soggetti ? Non azzardo un giudizio. Ci provi il lettore. Ecco, l’incomprensibile scelta comunicativa che ha sottolineato “la dimenticanza dell’arma nell’armadietto”, sembra assumere i connotati di una (discutibile) ed inaccettabile presa di distanza di taluni vertici dell’Arma dal comportamento (pur esso censurato) del “distratto” Cerciello.

Se, pertanto, va accolto, senza riserve, il nobile appello del generale Giovanni Nistri a ché la nefasta immagine di Gabriel Christian Natale Hjorth, con la benda sugli occhi, non divenga, per l’eroico Caduto, la dodicesima coltellata, la inaspettata dichiarazione del gen.le com.te Provinciale dei Carabinieri appare la tredicesima – più dolorosa- coltellata inferta al povero Mario Cerciello Rega. Tacciandolo di “dimenticanza”, che è circostanza di inaudita gravità per chi, come proprio pane quotidiano, ha la lotta ai criminali che incontra ogni notte nelle buie e squallide rotte della movida romana, non si è reso un buon servigio alla memoria di un giovane Carabiniere. Immagino che non sarebbe costato nulla, proprio nulla, dichiarare una pietosa e verosimile altra versione in merito all’arma derelitta. Chi l’avrebbe mai potuta contestare? Sta di fatto che difendersi da un’aggressione notturna da qualche balordo in libertà potendo brandire (mostrare, minacciare) un’arma offre una chance in più di sopravvivenza. Ciò non è accaduto. Le indagini sono in corso.

(Giuseppe Lenzi, generale della riserva dell'Aeronautica militare)

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