Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una nostra lettrice che ha voluto condividere con noi la sua storia di adozione. Lasciata in ospedale dopo il parto, non riconosciuta dai genitori biologici, ha trovato subito una famiglia pronta ad accoglierla e ha avuto – grazie ai suoi genitori – una vita felice. "Non mi hanno fatto mai mancare nulla ma crescendo mi sono accorta che il modo in cui sono nata, e il modo in cui questo episodio ancora oggi viene affrontato dal mondo intorno al me, ha avuto e continua ad avere un peso importante sulla mia vita", ci scrive parlando delle problematiche delle persone che non hanno nessuna informazione su chi li ha messi al mondo. Ad esempio c'è la questione del diritto alla salute.
La lettera a Fanpage.it
Avevo solo un mese quando i miei genitori, mamma e papà, sono venuti a prendermi in ospedale, dove sono stata lasciata da mia madre il giorno in cui sono nata. Non ho ricordi di tutto questo, sono stata adottata che ero davvero troppo piccola. Quando le persone me lo chiedono, ‘Ma i tuoi come te l’hanno detto? Da quando lo sai?’, io davvero non riesco a rispondere perché è come se lo avessi sempre saputo.
Oggi, a quasi 30 anni, posso dire di aver avuto veramente una bellissima vita. I miei genitori mi hanno amata alla follia e mi sono sentita sempre il centro del loro universo. Non mi hanno fatto mai mancare nulla ma crescendo mi sono accorta che il modo in cui sono nata, e il modo in cui questo episodio ancora oggi viene affrontato dal mondo intorno al me, ha avuto e continua ad avere un peso importante sulla mia vita.
La cosa che più spesso mi viene in mente è la questione del diritto alla salute. Da bambina non ci ho mai pensato veramente, era mia mamma che si occupava di questo aspetto: quando andavamo dal medico era lei che faceva domande e dava risposte al dottore o alla dottoressa del caso e io mi limitavo ad ascoltare. Crescendo, però, ho iniziato a rendermi conto che a molte delle domande che comprensibilmente mi venivano fatte in quelle occasioni o che trovavo scritte sui moduli di accettazione negli ospedali quando avevo bisogno di controlli o esami non sapevo rispondere.
Quando sentivo o leggevo, e tutt’ora sento e leggo, ‘In famiglia ha avuto casi di…?’, mi irrigidivo e riuscivo a rispondere soltanto: ‘Non lo so, sono adottata’.
Penso che per molti possa sembrare una cosa scontata ma è anche un argomento sul quale la società torna a interrogarsi solo in alcuni casi. Ricordo che del diritto alla salute degli adottati e del mantenimento della privacy della partoriente se ne parlò molto alcuni anni fa quando sui giornali uscì la storia di una signora adottata che si era messa alla ricerca della madre biologica perché aveva bisogno di informazioni sanitarie che le avrebbero permesso di accedere a una cura sperimentale per un cancro resistente alle terapie tradizionali.
La donna, rintracciata dal tribunale dei minori di Milano, inizialmente disse di non essere disponibile a un prelievo, perché l’adozione era seguita a una violenza subita, poi decise invece di accettare. La legge italiana stabilisce che il diritto all’anonimato della madre che decide di dare in adozione il proprio figlio o figlia “prevale” su qualsiasi altra cosa (L’art. 24, comma 7 della legge 2001 n. 149 recita: "L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo").
Sono davvero pochi i casi in cui l’autorizzazione ad accedere a questi dati ‘sensibili’ viene concessa, pagando avvocati e facendo richieste ai tribunali che, spesso, vengono rispedite al mittente.
Se devo parlare del mio caso, invece, una volta un oculista da cui andai per fare un controllo mi chiese se in famiglia avessi episodi di glaucoma (una malattia cronica e progressiva che colpisce il nervo ottico e che può portare alla perdita della vista, scoprii poco dopo) perché dalle sue misurazioni questa poteva essere un’ipotesi. Gli risposi con la solita frase, ‘Non so, sono adottata’, e appena uscita dall’ospedale scoppiai a piangere al telefono con mio papà che tentava di tranquillizzarmi promettendo che avremmo fatto tutti i controlli necessari.
In questi anni la mia famiglia mi ha permesso di controllare ogni aspetto della mia salute, pagando costi anche elevati, in particolare per esami più specifici. Un costo che io dovrò pagare se e quando avrò dei figli, visto che, per ottenere qualche informazione in più su di me, dovrò procedere a una mappatura del dna. Che, tuttavia, non mi permetterà davvero di sapere tutto quello di cui potrei avere bisogno.
Ora, se devo essere sincera e contrariamente a quanto vorrebbero altre persone, non ho mai avuto il desiderio di conoscere mia madre o mio padre e ho sempre accettato la loro decisione. I miei ‘veri’ genitori, aggettivo che spesso leggo sui giornali quando si parla di adozione, sono le persone che ogni giorno mi hanno cresciuta.
Mia mamma che ha passato notti intere accanto al mio letto quando stavo male e che mi veniva a prendere a scuola tutti i giorni per portarmi in piscina o al corso d’inglese; mio papà che mi ha insegnato praticamente tutto quello che so e a cui caratterialmente assomiglio così tanto.
Però ci tenevo a scrivere queste poche righe perché di questo tema spesso si parla poco e, a mio avviso, anche male, romanticizzando una condizione, quella degli adottati e di chi adotta, che, in molti casi, è tutt’altro che semplice.
All’articolo 32 la nostra Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”, e ancora: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, quindi ancora non capisco perché a me e alle persone come me questo diritto non spetti.
Se il parto in anonimato è una garanzia importante per molte donne in difficoltà e l’adozione è un’opportunità e un dono per tante coppie e figli, non dobbiamo dimenticarci di trattare questi temi sotto tutti gli aspetti e di cercare di trovare nuove soluzioni per problemi che, purtroppo, esistono da decine di anni. E che la decisione su questioni così delicate, da un lato e dall’altro, non possono e non devono essere lasciate alla discrezione di un giudice.
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