Matteo Salvini è tornato a chiedere la castrazione chimica per chi commette violenza sessuale, dopo il caso dello stupro di gruppo avvenuto a Palermo, in cui sette giovani hanno violentato una loro coetanea. La Lega Sicilia ha fatto sapere, in accordo col ministro dei Trasporti e leader del partito, di aver fatto partire una raccolta firme per introdurla. L’argomento non è nuovo: Salvini l’aveva invocata lo scorso novembre, dopo che un 26enne di Modena era stato arrestato con l’accusa di aver violentato la figlia della sua convivente, di appena 6 anni. Quando era al governo nel 2019, aveva insistito per inserire la castrazione chimica nel Codice Rosso, una legge che introduceva alcune novità nella gestione dei casi di violenza di genere, come la priorità nelle indagini. L’allora ministro dell’Interno si impegnò anche allora in una raccolta firme, dopo che il Movimento 5 Stelle si oppose fermamente alla sua proposta.
La castrazione chimica è un grande cavallo di battaglia della Lega e Salvini l’ha evocata più volte, specialmente in seguito a casi di cronaca particolarmente eclatanti. La maggior parte delle persone, però, non ha ben chiaro in cosa consista questa procedura, pensando serva a non far funzionare più gli organi genitali. Si tratta invece di una terapia farmacologica a base di ormoni e psicofarmaci che hanno l’obiettivo di abbassare i livelli di testosterone e inibire l’azione della dopamina, responsabile del desiderio e del piacere sessuale. La terapia va sostenuta a lungo nel tempo ed è reversibile, ma soprattutto più che effetti “meccanici” ha effetti psicologici. Il desiderio sessuale infatti non dipende esclusivamente dall’azione dei genitali.
La castrazione chimica, come ripete spesso Salvini, è consentita in diversi Paesi europei, come la Svezia, la Finlandia e la Germania, e non è mai un meccanismo punitivo, ma una scelta volontaria, a cui ricorrono soprattutto persone che provano grande disagio o rimorso a causa dei propri impulsi sessuali, come ad esempio i pedofili. I controlli sulla sua applicazione sono molto severi e il candidato deve essere ritenuto idoneo e soddisfare alcuni criteri fisici e psicologici. Un approccio molto diverso dal “castrazione chimica e via”, a cui allude Salvini, che la fa sembrare una soluzione permanente.
Nella realtà dei fatti, ricorrere alla castrazione chimica significherebbe obbligare qualcuno a seguire una terapia farmacologica che va assunta ogni tre giorni per tutta la vita e che non appena interrotta fa tornare tutto come prima. Come si pensa di far rispettare questo protocollo, senza contraddire le pene previste per i reati sessuali? Se una persona condannata ha finito di scontare la sua pena, dovrebbe continuare a seguirla? E chi ne vigilerebbe l’applicazione? C’è poi quel piccolo dettaglio secondo cui la Costituzione prevede che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non a disposizione di legge. La legge non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Anche se la petizione della Lega precisa l’intenzione di rendere la castrazione chimica una “misura volontaria e opzionale, nel rispetto della Costituzione”, è chiaro che invocarla è un espediente retorico che solletica un immaginario forcaiolo, dove le pene possono anche essere corporali se necessario. E non è un caso che quando si parla di castrazione chimica sui social, c’è sempre qualcuno che invoca quella fisica. Niente di più lontano dal nostro sistema democratico e giudiziario, dove la tortura è un reato (almeno per il momento).
Pensare che la castrazione chimica sia una soluzione alla violenza di genere o alla violenza sui minori tradisce una visione estremamente parziale del problema, ritornando all’idea ormai superata che la violenza sessuale sia una violenza esclusivamente “carnale”. Innanzitutto, la violenza non si esercita soltanto con gli organi genitali e non è soltanto una questione di desiderio sessuale. Al contrario, come ormai è accertato da tutti gli esperti in materia e anche dalla Convenzione di Istanbul che l’Italia ha ratificato, la violenza di genere e contro i minori ha origine culturale e sociale e non meramente biologica.
La violenza esiste in un sistema che non può essere semplicemente “castrato”. Per risolvere il problema si deve agire sulle sue radici, che non stanno di certo nel corpo o nel sesso. Pensarlo significherebbe abbandonarsi alla convinzione che la violenza è nella nostra natura, che non può essere cambiata, e non nella nostra cultura, che invece abbiamo il potere e il dovere di cambiare. Il meccanismo della paura e della minaccia che sta alla base della castrazione chimica non ha alcun effetto deterrente sulla violenza di genere, specialmente se si considera che nemmeno la giustizia “ordinaria” viene assicurata. Come sottolineato anche dal rapporto Grevio sull’applicazione della Convenzione di Istanbul, l’Italia continua a non dare giustizia alle vittime di violenza, a partire dalla fase di denuncia fino ad arrivare alle sentenze che le colpevolizzano. Queste sono le priorità su cui si dovrebbe concentrare il governo se ha davvero a cuore il destino delle vittime di stupro o di violenza domestica. Non invocare la castrazione chimica come se fossimo in una perenne campagna elettorale, dove più che occuparsi dei problemi veri sembra più importante raccogliere qualche migliaio di like.