"L’editore e il direttore dell’Unità comunicano che dal primo luglio Concita De Gregorio lascerà la guida del giornale a seguito di una decisione condivisa, assunta in autonomia e nel pieno rispetto reciproco riconoscendo l'importante lavoro svolto e i risultati raggiunti". Comincia con una asettica frase di circostanza il breve comunicato che, dopo giorni di indiscrezioni, voci e finanche insinuazioni di dubbio gusto, sancisce la fine dell'esperienza di Concita De Gregorio come direttore de L'Unità. Una stagione intensa durata tre lunghi anni e che ha portato l'Unità a (ri)tornare ad essere il punto di riferimento di parte della società italiana.
Concita, uno dei volti più riconoscibili ed autorevoli dell'intero panorama giornalistico italiano, lascia il giornale fondato da Antonio Gramsci dopo aver contribuito in maniera determinante a risollevarlo dal pantano in cui si trovava fino a qualche anno fa(nonostante l'autorevole guida di un grandissimo giornalista come Antonio Padellaro), scegliendo con grande coraggio la strada del rinnovamento e della sperimentazione, pur in una congiuntura estremamente problematica. Se i primi anni della "reggenza" della giornalista toscana coincidevano con uno dei periodi più bui del fronte progressista italiano, reduce dalla traumatica sconfitta delle politiche del 2008 con la cospicua maggioranza nelle mani del centrodestra e la sinistra "radicale" addirittura fuori dal Parlamento, non va neanche dimenticata la difficile situazione economica in cui si trovava il giornale edito da Renato Soru. Eppure, malgrado tagli e difficoltà di varia natura, quello realizzato da Concita è stato un piccolo capolavoro: rianimare un giornale in difficoltà, rivoluzionandone taglio e grafica, ridandogli smalto e prestigio, anche attraverso scelte editoriali precise e coraggiose.
L'Unità è riuscita, peraltro in controtendenza rispetto al mercato, a recuperare lettori, mantenendo consensi ed autorevolezza (e non era semplice dopo "l'uscita" di Colombo e Padellaro), riuscendo a filtrare istanze della società civile, a dar voce al malessere sociale e alla voglia di rivalsa di tanta parte d'Italia e finendo col diventare un punto di riferimento essenziale per l'area progressista del Paese. Il tutto con un taglio nuovo e per molti versi innovativo, con l'apertura al web e, sia pure con una modalità perfettibile e con investimenti probabilmente deficitari, con il tentativo di lanciare il portale online, vero tallone d'achille della stampa progressista. In mezzo, non va certamente taciuto, un periodo travagliato dal punto di vista aziendale, con rinunce dolorose (pensiamo all'intero gruppo di satira dell'esperimento virus, per breve tempo spostato sul web e poi accantonato) e con vertenze dure, a volte insanabili, con parte della redazione. Un rapporto nato probabilmente nel modo peggiore, con una assunzione comunicata a mezzo stampa che i redattori storici e gli autorevoli collaboratori della testata non hanno mai digerito del tutto, valutandola come un atto d'arbitrio da parte dell'editore e soprattutto considerandola come un attacco "all'eccessiva autonomia e radicalità" che stava acquisendo la direzione di Antonio Padellaro.
In mezzo la gestione "altalenante" di Renato Soru, la riduzione di personale e una collaborazione problematica con alcune grandi firme del giornale, da mostri sacri come Camilleri e Travaglio (che comunque, vale la pena ricordarlo, è stato uno dei pilastri su cui si è basato il "nuovo tabloid" e sul cui ingresso in squadra, caldeggiato da Padellaro, si erano concentrate non poche perplessità), fino a collaboratori di grandissimo spessore come Ravera, Beha e Lucarelli. Tuttavia, crediamo davvero che le accuse ed i veleni con cui parte del mondo dell'editoria sta "salutando" il passaggio di consegne (si parla comunque di un ritorno a Repubblica) siano quantomeno ingenerose e soprattutto sottendano ad una insinuazione di fondo (scappa perchè i soldi stanno finendo, in sintesi) che mal si sposa con la dignità e la coerenza con la quale la "direttora" ha retto l'Unità e dialogato con i suoi lettori. Invece e malgrado le critiche, Concita è stata in grado di dar voce ad istanze importanti e dirimenti per tanta parte della sinistra italiana, Invece Concita è riuscita a dare una identità, seppur nuova e diversa, al giornale, regalando ai suoi tanti lettori editoriali significativi, accorati, vissuti, mai banali o demagogici: un pregio non da poco, specie nell'epoca del pressapochismo e della "semplificazione dei concetti".