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Incidente Funivia Stresa-Mottarone

Incidente Funivia Mottarone, ipotesi cavi corrosi dall’umidità: non venivano cambiati da 23 anni

Quei cavi che permettevano alla funivia Stresa-Mottarone di muoversi lungo quel percorso mozzafiato sul lago Maggiore erano lì da oltre 20 anni, l’ultima sostituzione sarebbe stata fatta infatti nel 1998 così come riportato dai documenti pubblicati dalla Stampa in cui sono elencati tutti i lavori fatti o da fare sulla funivia. Gli inquirenti continuano il lavoro di indagine per capire perché il cavo abbia ceduto provocando l’incidente causato, in seconda parte, dalla manomissione dell’impianto in cui il freno è stato disabilitato per evitarne il blocco.
A cura di Chiara Ammendola
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Nessun freno di emergenza attivato così come ammesso dai tre indagati fermati la scorsa notte con le accuse di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e rimozione degli strumenti atti a prevenire gli infortuni aggravato dal disastro e lesioni gravissime. Si tratta del direttore del servizio Enrico Perocchio, il capo operativo Gabriele Tadini e il titolare della  società ‘Ferrovie del Mottarone' Luigi Nerini, 56 anni. Una svolta fondamentale nelle indagini sull'incidente della funivia Stresa-Mottarone che ha provocato la morte di 14 persone, così come spiegato dalla comandante provinciale dei carabinieri di Verbania, il tenente colonnello Alberto Cicognani e dal procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi secondo cui non si sarebbe trattata di una dimenticanza. Ma quella del freno non è la prima causa della strage le cui indagini continueranno per appurare un altro aspetto fondamentale, perché il cavo che trainava le cabine si è spezzato. La risposta sarebbe, secondo quanto pubblicato dalla Stampa, nel documento in cui sono elencati tutti i lavori fatti o da fare, dai quali emergerebbe la mancata sostituzione dei cavi stessi.

Il forchettone inserito per impedire l'attivazione dei freni
Il forchettone inserito per impedire l'attivazione dei freni

La sostituzione delle funi portanti, traenti e di soccorso di entrambi i tronchi è stata fatta l’ultima volta tra il 1997 e il 1998. Nel 2014 quando si progettò il rifacimento non se ne fece nulla. "Tecnicamente non sono passati venti anni, ovvero si è ancora dentro (seppure di poco) alla norma italiana entrata in vigore dopo la tragedia della funivia del Monte Bianco – si legge sul quotidiano – che stabiliva l’obbligo di sostituire le funi dopo 20 anni di attività. E mancavano ancora 36 mesi prima di essere al limite. Di qui la scelta di non farne nulla". Dunque un'usura dei cavi stessi avrebbe portato alla rottura di una delle funi che in più di vent'anni sarebbero stati naturalmente corrosi dall'umidità e dalle piogge. Ma a questo aspetto se ne aggiungerebbe un secondo, sempre secondo la Stampa, che riguarda un temporale che nella notte tra venerdì e sabato e tra sabato e domenica ha colpito la zona: "Un fulmine – si legge nella ricostruzione – potrebbe aver fuso alcuni trefoli (i fili sopra l’anima flessibile) indebolendo il cavo al punto di portarlo ad una rottura".

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Intanto le tre persone fermate hanno ammesso le loro responsabilità: "Il freno non è stato attivato volontariamente", così come spiegato dagli inquirenti. "C'erano malfunzionamenti nella funivia, è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta', che impedisce al freno d'emergenza di entrare in funzione". Secondo la procura da settimane i tre erano a conoscenza del guasto al sistema frenante di sicurezza, che fin dai primi rilievi era apparso manomesso; in particolare era emerso che era stato installato un dispositivo, un cosiddetto forchettone, per disabilitare i freni di emergenza. Per il procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi non si sarebbe trattato di una dimenticanza, bensì una scelta deliberata per evitare continui disservizi e blocchi della funivia. Così, quando il cavo si è spezzato, il freno di emergenza non è entrato in funzione. Un primo passo verso una verità obbligata che i famigliari delle vittime chiedono a gran voce.

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