A Recoaro, in Veneto, hanno inaugurato un museo dentro uno dei tanti bunker che Albert Kesselring, comandante supremo delle forze naziste durante la Seconda Guerra Mondiale, fece costruire all’interno del suo quartier generale. Fin qui tutto normale, bisogna rilanciare le attività museali, arricchire i percorsi didattici fuori dagli edifici scolastici, tenere vivo l'esercizio della memoria. Tutto giusto. Peccato che a scortare i visitatori nell’ex bunker nazista siano delle guide in abiti nazisti. Una trovata che non c’entra niente con i musei e la ricostruzione storica. La Storia, quella vera, fatta di cervella fatte saltare a sangue freddo e città distrutte e persone costrette a nascondersi come topi, non può essere spiegata da guide in abiti nazisti. È una cosa che non si può fare perché il nazista buono che ti spiega l'occupazione nazista non esiste e la Storia non è una carnevalata. E non è necessario scomodare Freud o Jung per capire che affidare la narrazione di un fatto a qualcuno agghindato nei panni del carnefice porta a edulcorare e persino revisionare il carnefice, basta aprire un qualsiasi manualetto di psicologia spiccia, lì, tra la premessa e il primo capitolo, troviamo scritto che per simpatizzare con qualcuno bisogna indossare i suoi panni. Ecco, no, i panni di un nazista anche no.
“La visita è su prenotazione e si è accompagnati da guide in divisa d'epoca della Wehrmacht. Presente anche un check point di accesso tedesco” scrive via Facebook il Presidente di Regione Veneto Luca Zaia, che da un lato plaude all’iniziativa del museo pubblicizzandola tramite i suoi social, dall’altro si guarda bene dallo scrivere “in divisa nazista” ma opta per un blando “divisa d’epoca Wehrmacht”. Un cerchiobottismo della migliore fattura che ben si inserisce nel clima culturale italiano, dove la pregiudiziale antifascista sembra venire progressivamente meno. Prima la vicenda del sottosegretario Claudio Durigon, poi le surreali polemiche intorno all’editoriale di Tomaso Montanari, e oggi il museo con le guide in abiti nazisti, tutto sembra spingere verso il pericoloso diktat del “vale tutto”, che avanza a colpi di benaltrismo (“e allora le foibe”) e revisionismo più o meno manifesto (dal timido “bisogna contestualizzare” al “è tutto un complotto”).
“Proprio all’interno di uno dei bunker costruiti presso le Fonti, pesantemente colpite dai bombardamenti alleati dell’aprile del 1945, si stabilirono le premesse per la cessazione dei conflitti, che portarono pochi giorni dopo alla resa incondizionata ratificata a Caserta” recita il sito del bunker-museo di Recoaro. Una “cessazione” per la quale, solo in Italia, morirono circa 45 000 partigiani e altri 21 200 rimasero mutilati e invalidi. Una“cessazione” che arrivò dopo oltre 10 000 vittime civili uccise in rappresaglie nazifasciste, 335 martiri trucidati e occultati nelle fosse Ardeatine, dove oggi c'è un mausoleo che ospita incontri, approfondimenti e visite guidate dove nessuno si sogna di travestirsi da martire, partigiano o ebreo. Perché la Storia, è bene ribadirlo, non è una carnevalata.
“Lo avrai / camerata Kesselring / il monumento che pretendi da noi italiani / ma con che pietra si costruirà / a deciderlo tocca a noi” scrisse Piero Calamandrei il 4 dicembre 1952 in una poesia rivolta a Kesselring, che proprio in quell’anno, messo in libertà in considerazione delle sue “gravissime” condizioni di salute, dichiarò pubblicamente che “non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che, anzi, gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli un monumento”.
Una poesia da appendere all’ingresso del museo di Recoaro, così che il visitatore, oltre ai racconti delle guide in abiti nazisti, possano sentire anche “il silenzio dei torturati, più duro d'ogni macigno”e il patto giurato fra uomini liberi, che volontari si adunarono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo”. Una poesia che nessuno del museo di Recoaro ha voluto appendere.