In un anno Roberta Siragusa subì 33 aggressioni da Morreale: “La bruciò viva poi giocò alla play con l’amico”
Diventa definitivo l'ergastolo di Pietro Morreale, il 19enne condannato per il femminicidio della fidanzata Roberta Siragusa, picchiata e bruciata viva nella notte tra il 23 e il 24 gennaio 2021 a Caccamo (Palermo). I giudici della prima sezione penale della Cassazione, accogliendo la richiesta della procura generale, hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato.
Secondo la prima sezione della Corte di Cassazione, in un anno la giovane avrebbe subito 33 aggressioni. Il tutto è emerso da alcune chat estrapolate da un tecnico informatico. Stando a questi accertamenti, inoltre, dopo il femminicidio Morreale avrebbe chiesto a un amico di giocare alla playstation.
Per i giudici, l'imputato è capace di intendere e di volere e nessuno degli elementi emersi in fase di indagine conferma in alcun modo l'ipotesi difensiva della morte accidentale. Dagli accertamenti del tecnico informatico è emerso che Siragusa si confidava spesso con un amico al quale aveva inviato in più occasioni le foto di lividi sul corpo causati dalle percosse di Morreale.
La notte del femminicidio, Roberta venne colpita più volte al volto dal ragazzo di 19 anni che faceva kick boxing, poi è stata arsa viva deliberatamente dopo essere stata cosparsa di benzina. Di fatto, la Suprema corte ha confermato la ricostruzione dell'accusa: dopo aver colpito la fidanzata, Morreale le ha dato fuoco versandole addosso del carburante. Dopo il femminicidio e dopo essersi liberato del corpo della giovane, il 19enne avrebbe chiesto a un amico di giocare on line alla play station. L'imputato dovrà risarcire le parti civili e pagare le spese processuali delle parti civili, ossia la madre di Roberta, Iana Brancato, il padre Filippo Siragusa, il fratello Dario e la nonna Maria Barone, assistiti dagli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Sergio Burgio e Simona La Verde.