In ricordo di Libero Grassi, l’imprenditore che non pagava il pizzo
"Dobbiamo continuare con la nostra presenza attiva. Non dobbiamo mai dimenticare ma sempre parlare e parlare e ricordarci i tre valori di Libero: lavoro, libertà dignità": sono queste le parole commosse di Pina, la moglie di Libero Grassi, l'imprenditore siciliano assassinato il 29 agosto del 1991 dai sicari della mafia a Palermo per aver intrapreso un'azione solitaria contro la richiesta di pagare il "pizzo".
Altrettanto sentita è la reazione della figlia Alice, che ha ricordato come, oltre che dalla mafia, Libero fu ucciso "dall'omertà dell'associazione industriali, dall'indifferenza dei partiti, dall'assenza dello Stato". Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato come "il suo sacrificio sia divenuto nel tempo, anche grazie alla mobilitazione delle migliori energie della società e alla crescente determinazione dell'imprenditoria siciliana, un riferimento essenziale della rivolta contro il racket e la pressione mafiosa."
Libero, il cui nome gli fu dato in ricordo del sacrificio di Giacomo Matteotti, nasce a Catania nel 1924 e si laurea in giurisprudenza all'università di Palermo; malgrado voglia fare il diplomatico, prosegue l'attività del padre come commerciante e negli anni cinquanta si trasferisce a Gallarate, dove entra con successo nel meccanismo dell'imprenditoria locale.
L'amore per la sua terra, però, è più forte: nel 1954 torna infatti a Palermo, dove apre uno stabilimento tessile, "per dare lavoro e prospettive di crescita agli uomini della sua terra e spronarli a reagire a inquinanti forme di taglieggiamento e ad ogni intimidazione", come ha ricordato il Presidente Napolitano. Dopo aver avuto alcuni problemi con la fabbrica di famiglia, viene anche preso di mira da Cosa nostra, che pretende il pagamento del pizzo.
Libero Grassi si oppone alle richieste della mafia e denuncia gli estorsori; la sua condanna a morte arriva però con la pubblicazione sul Giornale di Sicilia di una lettera sul suo rifiuto a cedere ai ricatti della mafia. Fu assassinato il 29 agosto 1991, in via Alfieri a Palermo; per il suo omicidio sono stati condannati nel 2004 vari boss, tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pietro Aglieri. Solo un anno dopo, nella strage di Capaci, il giudice Giovanni Falcone perderà la vita per aver denunciato ed indagato sui sottili e raffinati equilibri tra mafia, politica ed imprenditoria.
Oggi, a vent'anni dal suo assassinio, è stata organizzata una cerimonia istituzionale, con la presenza di molte autorità e di esponenti politici, tra cui il sindaco di Palermo, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il presidente onorario della federazione antitracket Tano Grasso.