In Piemonte scatta il secondo lockdown, negozianti disperati: “Questa è una guerra tra poveri”
Erika, Giulia e Francesca si arrabatteranno come possono, chi con l'asporto e chi puntando sulle vendite online. Questo però è il secondo lockdown in un anno e i loro debiti si stanno accumulando, aggiungendo alla paura della pandemia anche la profonda insicurezza economica che sta gettando ancora più nello sconforto tante categorie.
Erika Russello ha un centro estetico aperto a fine gennaio 2020 con suo marito. Lì dentro lavorano entrambi e hanno 4 figli, 70mila euro di debiti da ripagare e un affitto da 1000 euro al mese. "Chi paga queste spese? – mi chiede Erika con gli occhi sbarrati e la voce rotta più che dalla rabbia dalla paura di non farcela – non so se riaprirò"
Francesca Grosso e Santo Granata mi accolgono alle 17.55 nel loro bar nel centro di San Mauro, piccola città dell'hinterland torinese. Vivono di pranzi e caffè, il bar è sempre aperto dalle 5 del mattino fino alle 22, entrambi lavorano dalle 12 alle 15 ore al giorno, non hanno dipendenti: "L'unica consolazione è almeno che non ci preoccupiamo di chi non prenderà lo stipendio – spiega Francesca – perchè facciamo noi i salti mortali in questo periodo per tenere aperto comunque per recuperare il più possibile. Però non ce la stiamo facendo più, siamo al limite".
Il limite vuol dire l'affitto del bar da pagare, 750 euro al mese, e la bolletta della corrente da 500 euro. Cifre che possono far saltare un intero bilancio familiare. "Ho tre figli – continua Francesca – e non so più dove sbattere la testa. Il 16 novembre arriverà la rata dell'INPS e io con quali soldi la pago?"
Giulia Schepis ha un piccolo negozio di abbigliamento a Castiglione Torinese e paradossalmente sembra quella più ottimista, mi confida che spera che il suo e-commerce, che ha aperto qualche giorno fa, possa aiutarla almeno a pagare le spese. "Spero che funzioni non solo per Amazon e per i grandi gruppi, ma anche per le piccole imprese come la mia".
Poi torniamo a parlare del Lockdown. "E' il secondo in un anno, praticamente da quando ho cominciato a dicembre 2019 fino ad oggi sono stata quasi più chiusa che aperta – racconta Giulia e poi quando le chiedo se lo rifarebbe, sapendo dei lockdown, risponde immediatamente – no, penso di no. Rimarrei sicuramente dipendente e io avevo anche il posto fisso, un buon posto. I dipendenti hanno più tutele".
La sensazione di scoramento e di tristezza che si percepisce nelle parole di questi commercianti è superiore alla rabbia delle loro parole, che però diventa paura di un conflitto crescente tra i cittadini. "Siamo arrivati – spiega Erika Russello – a farci la guerra tra poveri, a essere invidiosi e pieni di rabbia verso chi può restare aperto. Perchè noi restiamo chiusi e i parrucchieri no?"
Chiedo a Giulia se è cosciente che questo potrebbe non essere l'ultimo lockdown: "Se ci fosse un altro lockdown a febbraio o a marzo non ce la farei – mi dice – non riaprirei più.