In Italia un pacco di pasta su tre è prodotto con grano straniero
La pasta ‘italiana’ che finisce nel vostro piatto spesso non è italiana. Lo ha denunciato la Coldiretti: “Nel 2015, l’acquisto di quasi 5 milioni di tonnellate di frumento tenero e di oltre 2 milioni di tonnellate di grano duro ha fatto crollare del 31 per cento il prezzo di quello italiano”, spiega l’associazione di categoria che ha manifestato al porto di Bari contro le importazioni selvagge, paventando persino il rischio di contaminazione da microtossine.
Anche uno dei marchi più acquistati nel nostro Paese, la Barilla, ammette che il 25% del grano duro della propria pasta “è importato dalla Francia e da Nord America, visto che quello prodotto in Italia non è sufficiente e per questo l’azienda, come la maggior parte dei grandi pastifici, importa anche da altri paesi come Stati Uniti, Ucraina, Kazakistan. Barilla che è probabilmente il più grande acquirente di grano duro al mondo con 1,4 milioni di tonnellate l’anno, cerca sempre di acquistare la materia prima negli stessi paesi in cui si trovano gli stabilimenti ma se il raccolto dovesse risultare cattivo o non sufficiente, l’azienda compra sul mercato internazionale”. Sono le precisazioni sull’origine della materia prima sono state rilasciate da Barilla alla Radiotalevisione Svizzera (RSI) poche settimane fa, come evidenzia il Fattoalimentare.it.
La Coldiretti ha dimostrato che le farine che arrivano sulla nostra tavola sotto forma di pane subiscono rincari del 1450 per cento. Il paese dal quale arriva la maggior parte di grano e frumento è l’Ucraina: Seicento milioni di chili, quantità più che quadruplicate rispetto all’anno prima. Cinquanta milioni di chili li compriamo invece dalla Turchia. Poi ci sono i carichi che arrivano da Canada, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro. A tal proposito, il presidente di Coldiretti Puglia Gianni Cantele punta il dito contro l’Europa e il governo: “Serve una norma che imponga l’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Altrimenti si fa concorrenza sleale e si vende per Made in Italy ciò che non è”.