In fuga da Gaza, l’appello a Fanpage: “Nessuna guerra come questa, aiutateci a salvare le nostre figlie”
“Abbiamo avuto altre guerre, ma mai difficile come questa”. “La Striscia di Gaza è come una grande prigione”. “Da quando siamo nati e anche prima di essere nati, Gaza è sempre stata sotto attacco. Non c’è mai stata pace, neanche un sogno di questa. Ormai abbiamo smesso di sognare, ci sono solo le guerre. Dormiamo qui in Italia e ci svegliamo pensando ancora ai rumori dei bombardamenti”. "Prima era una guerra solo contro Hamas, ma ora sono tutte vittime, è un genocidio collettivo".
Issam e Hanan Al-Dahdouh sono ormai al sicuro. Eppure nei loro occhi c'è ancora la paura e il terrore a causa dei momenti difficili vissuti a Gaza: è lì che i due coniugi, insieme al resto della famiglia, sono nati e hanno vissuto per anni, prima di dividersi e ricongiunsi finalmente, qualche settimana fa, ad Ancona.
Issam, già nel 2020, ha infatti raggiunto l'Italia ottenendo protezione insieme a uno dei loro figli e così, lo scorso dicembre, tramite l'associazione Ambasciata dei Diritti, che ha sede proprio nel capoluogo marchigiano, è riuscito ad attivare attorno a sé una grandissima solidarietà dal basso, che ha portato, nonostante mille peripezie, ai documenti necessari dall'ambasciata italiana in Israele per far arrivare qui anche la moglie e altre due figlie. Non tutte però, due sono ancora nell'inferno di Gaza. Anzi, di una figlia in particolare, Lina, non hanno più notizie da tre mesi.
La paura per le figlie a Gaza
“In qualsiasi momento ho paura che qualcuno mi chiami per dirmi che anche loro sono diventate martiri” spiega Hanan a Fanpage.it, che ha incontrato la coppia proprio ad Ancona, dove la famiglia, in salvo, non è però ancora sotto lo stesso tetto, ma separata in due strutture differenti. “Chiediamo alle istituzioni italiane che si trovi un appartamento per farli vivere insieme, perché hanno bisogno di assistenza psicologica e la prima cosa da fare è riunire il nucleo familiare” dice Valentina Giuliodori dell'Ambasciata dei Diritti.
Ma non si tratta dell'unico appello: quello più importante, rivolto direttamente da Issam e Hanan, è per chiedere che anche le altre due figlie, coi loro bambini al seguito, possano trovare riparo in Italia. “Aiutateci a portarle via da quel luogo di morte e dolore -chiede la madre-. I bambini sono terrorizzati: se tutto questo fa paura a noi adulti, figuratevi ai bimbi. Ve lo chiedo, vi prego, con tutto il rispetto chiedo a nome della vita: sarebbe un sogno avere qui le mie figlie, a Gaza ogni giorno è più difficile di quello che ancora deve venire".
La fuga e l'arrivo in Italia
“A dicembre Issam ci ha contattato per chiederci una mano -riprende Giuliodori-. Aveva ottenuto dalla prefettura i documenti per l'ospitalità della moglie e i figli. Era molto difficile riuscire a portarli qui, ma circolava voce che dalla Striscia di Gaza, pagando 2.600 dollari a testa, sarebbe stato possibile uscire e arrivare fino in Egitto. In modo molto rocambolesco, sono riusciti a ottenere il visto dall'ambasciata italiana a Tel Aviv, ad attraversare il confine da Rafah in Egitto e da lì a prendere un aereo per l'Italia. Penso siano gli unici in questo periodo ad essere usciti dalla Striscia -prosegue-. Ci hanno messo più di due mesi e qui si è attivata una rete incredibile di solidarietà dal basso, fra associazioni e gruppi, che li hanno aiutati in qualsiasi modo. Adesso però il sistema dell'accoglienza deve consentire la riunione di questa famiglia. È assurdo che ci siano rifugiati di serie A e altri di serie B, visto che per i palestinesi non è stato attivato alcun canale umanitario e quando arrivano qui non hanno nessun tipo di assistenza”.
La vita dopo il 7 ottobre
“Prima del 7 ottobre la nostra vita era normale, c'era gente che lavorava tranquillamente in Israele e c'era un via vai senza conflittualità -ricomincia il suo racconto Issam-. Io lavoravo la terra e non c'erano problemi: avevo due case, le serre, il pozzo. Tre giorni fa mi hanno distrutto tutto, è diventato tutto polvere”. “Ci svegliavamo la mattina, portavo i figli a scuola e poi andavo da mia sorella, o lei da me, per bere insieme un bicchiere di caffè -dice invece sua moglie Hanan-. C'erano state altre guerre, ma mai come questa. Eravamo comunque sicuri, ma da un giorno all'altro Hamas attacca Israele e già dal giorno dopo si capiva che non l'avrebbero fatta passare liscia”.
La loro vita, e quella delle altre centinaia di migliaia di persone nella Striscia, è così diventa impossibile: senza acqua, senza luce, senza gas. Hanan, che parla di "case rase al suolo senza preavviso", si chiede: "La pace? Ma quale pace. Mi sembra di non essermi mai svegliata da questo incubo".
Raccontando di una situazione drammatica, con cadaveri per strada mangiati dai cani, cibo che scarseggia, parenti che muoiono di fame e il ricordo spaventoso degli elicotteri sempre sulle loro teste, Issam aggiunge: “Vivo continuamente in una corsa contro la morte, perché in ogni momento senti di un cugino o un amico morto. Si tratta di un genocidio, con gli ospedali rasi al suolo con le persone dentro”. L'uomo parla inoltre di interessi economici dietro l'operazione militare israeliana, non solo contro Hamas ma anche per il controllo di un giacimento petrolifero trovato nella Striscia.
Il racconto dei bombardamenti
“Gli elicotteri appena vedono un corpo muoversi lo colpiscono” interviene la moglie, definendo i droni utilizzati dall'esercito israeliano come una delle novità di questa guerra. “Prima coi bombardamenti distruggevano una sola casa alla volta, adesso un intero blocco abitativo, con almeno cinque o sei rase al suolo contemporaneamente” spiega Issam.
La loro famiglia è la stessa di Wael Al-Dahdouh, il giornalista di Al Jazeera diventato famoso, suo malgrado, per aver appreso in diretta della morte dei suoi familiari, restando comunque al suo posto in prima linea nel racconto del conflitto, prima di trovare anche lui riparo, in Qatar. “Il giorno in cui hanno ucciso alcuni dei suoi figli, gli altri erano venuti da noi perché in teoria il nostro era un quartiere sicuro -ricorda Hanan-. Poi, il giorno dopo, il sabato, c'è stato un attacco. Non capivamo cosa stesse succedendo, sembrava un terremoto, i bambini erano tutti insanguinati e non si vedeva più nulla, c'era polvere dappertutto. Da quel momento abbiamo capito che non c'era più nessun posto sicuro”. E lo hanno capito anche tantissimi altri in fuga dagli attacchi, che proprio nella loro casa avevano cercato riparo.
“Solo nella nostra famiglia contiamo 13 martiri, 21 i nostri vicini e altri 21 il giorno prima, tutti sulla stessa via -continua la donna-. Le persone dalle macerie uscivano a pezzetti, messi nei sacchetti. La vita a Gaza è davvero la più difficile del mondo”. “Noi vogliamo la pace per tutti -dicono i due quasi in coro-. E basta continuare a colpirci, ad uccidere persone innocenti, povere. Una donna che dorme coi suoi figli e le viene demolita la casa sulla propria testa che colpa ha?” “Speriamo che ci sia una soluzione, con due stati che possano vivere in pace e sicurezza -dice infine Issam-. Anche la parola difficile non basta per descrivere e spiegare quello che sta succedendo”. “Te lo giuro -conclude Hanan- nessuno al mondo ha subito quello che a Gaza si sta vivendo”.
(Ha collaborato Mariem Marouani)