In Africa entro 7 anni 300 milioni di profughi climatici a causa della siccità
Nei Paesi del Corno d'Africa la siccità ha raggiunto livelli record: per cinque stagioni consecutive infatti le precipitazioni sono state sensibilmente inferiori alla media e la carenza di piogge ha causato livelli di insicurezza alimentare acuta senza precedenti nell'Etiopia meridionale e sudorientale, nelle terre aride e semiaride del Kenya e nella maggior parte della Somalia.
Secondo il World Food Programme in Etiopia i raccolti sono falliti, nel 2022 milioni di capi di bestiame sono morti e ogni giorno milioni di persone si svegliano affamate. In Kenya, in meno di due anni il numero di persone bisognose di assistenza è più che quadruplicato. Per lo Short Rains Assessment, la rapida escalation della siccità ha lasciato lo scorso aprile 3,1 milioni di keniani in condizioni di grave insicurezza alimentare, numero che in Somalia supera i 6 milioni.
Il quadro è dunque drammatico ed è inevitabile che nei prossimi anni centinaia di milioni di persone saranno costrette ad emigrare per sopravvivere. Fanpage.it ne ha parlato con Guglielmo Micucci, direttore di Amref, in questi giorni in Ruanda per partecipare alla più grande conferenza su sviluppo e salute in Africa AHAIC, quest'anno incentrata sul rapporto tra salute e cambiamenti climatici.
In che modo il cambiamento climatico sta impattando sulla vita e la salute delle popolazioni africane?
La prima cosa che stiamo notando è una riduzione importante delle risorse idriche. Per anni Amref e altre Ong hanno realizzato pozzi dai quali prelevare acqua per irrigare campi e per combattere la sete. Ebbene, oggi molte di quelle infrastrutture – che fino a poco tempo fa funzionavano alla perfezione – sono ormai state svuotate: è stato come essere tornati indietro di 15/20 anni rispetto a un processo di sviluppo che avevamo avviato e che a lungo ha dato importanti frutti. Un altro tema che sta iniziando ad affacciarsi, e che è confermato da tutte le proiezioni, è che a causa della carenza di risorse idriche entro il 2030 in tutto il mondo ci saranno circa 700 milioni di profughi climatici, il 40% dei quali nel solo continente africano.
Parliamo di quasi 300 milioni di persone tra appena sette anni.
È inevitabile. Se non hai più acqua sei costretto a muoverti per cercarla altrove perché è in gioco la tua sopravvivenza e quella della tua famiglia: molti diventeranno sfollati interni e si sposteranno dalle aree rurali dei propri Paesi alle città, altri emigreranno in altre nazioni. La crisi migratoria avrà conseguenze globali e naturalmente molti cercheranno di raggiungere l'Europa. In Italia nel 2022 sono sbarcati circa 100mila migranti: in futuro quel numero aumenterà sensibilmente a causa delle conseguenze della crisi climatica in Africa.
Quanto contribuisce il continente africano alle emissioni di gas serra?
Il continente africano, pur rappresentando il 17/18% della popolazione mondiale, contribuisce al 2/3% alle emissioni globali di gas serra. Le conseguenze che subisce però sono incalcolabili perché l'Africa non ha ancora le infrastrutture per reggere l'impatto con il cambiamento climatico e coi suoi effetti. In questo quadro inoltre molti Paesi vogliono migliorare la qualità della vita dei loro cittadini e lo fanno "imitando" il nord del mondo, cioè inseguendo quel modello di sviluppo capitalistico all'origine della situazione in cui ci troviamo. Si innesca così un circolo vizioso.
Nel Corno D’Africa le precipitazioni sono drasticamente diminuite negli ultimi anni. Quali sono le conseguenze?
Amref conosce alla perfezione quell'area del continente africano. In Etiopia, Eritrea, Sud Sudan, Somalia, Kenya e Uganda negli ultimi anni le piogge sono drasticamente diminuite: parliamo di un bacino di oltre 300 milioni di persone, un territorio in cui da cinque anni a questa parte le precipitazioni sono sensibilmente inferiori alla media. Nel 2022 la riduzione delle piogge ha raggiunto il 50%. Tutte queste evidenze dimostrano che quell'area geografica sta soffrendo molto. La scorsa estate ho trascorso tre mesi nel nostro quartier generale in Kenya ed ho notato cose mai viste. Penso ad esempio alle giraffe morte di sete nei parchi naturali. Parliamo di animali abituati a percorrere decine di chilometri per cercare acqua. Eppure non l'hanno trovata… Oppure penso ai bambini costretti ad abbandonare la scuola e percorrere ogni giorno 5/10 chilometri per trovare delle fonti d'acqua.
Sono in corso anche delle carestie?
Sì, ad esempio nel nord del Kenya, al confine con la Somalia. Ma anche in Etiopia. In questi Paesi la situazione è disastrosa e c'è urgenza che istituzioni internazionali ed organizzazioni non governative intervengano. Noi ci siamo e stiamo lavorando ai piani di adattamento al cambiamento climatico: sappiamo che si tratta di un processo irreversibile, quindi dobbiamo lavorare con le comunità locali affinché possano adattarsi meglio al nuovo clima.
Durante l’ultima COP27 il Direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato dell'importanza del concetto di One Health. Ce lo spiega?
Si tratta di un modello sanitario basato sull'integrazione di discipline diverse, in particolar modo sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente. Faccio un esempio: un tempo Amref si occupava solo di aspetti sanitari . I flying doctors si spostavano nelle aree rurali per provare a ridurre la distanza tra le popolazioni e il sistema sanitario. Oggi il nostro lavoro è molto più articolato, soprattutto nel Corno d'Africa: potenziamo l'interconnessione tra la salute umana, quella vegetale e animale. Nei nostri team non lavorano più solo medici, infermieri e ostetriche, ma anche geologi, agronomi, epidemiologi, veterinari…
Cosa possiamo fare nel nord del mondo?
Rispondere che vanno sostenute le Ong che operano in Africa sarebbe limitativo. Credo che vadano anche supportate le battaglie delle realtà che lottano contro il cambiamento climatico, penso ad esempio ai movimenti giovanili che si sono attivati in tutto il mondo. Infine vanno fatte scelte politiche lungimiranti: le istituzioni devono riconoscere che la crisi climatica avrò effetti gravissimi in tutto il pianeta. Anche in Italia e nel resto d'Europa possono essere prese decisioni politiche che abbiano una ricaduta diretta anche sul continente africano.