Ilva, favori e richieste di patteggiamento: arrestati ex procuratore Capristo e avvocato Amara
Una vera e propria trattativa sarebbe avvenuta sul caso dell'ex Ilva di Taranto secondo la procura di Potenza. Ci sarebbero stati scambi di favori e la richiesta di patteggiamento che non ha ottenuto alcun esito. Una nuova misura cautelare è stata notificata questa mattina dai magistrati di Potenza all'ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo. Sono in tutto cinque le misure cautelari disposte per corruzione in atti giudiziari, concussione e abuso d'ufficio. Tra gli arrestati anche l'avvocato Pietro Amara, ex legale di Eni che secondo l'accusa avrebbe facilitato l'arrivo a Taranto di Capristo tramite rapporti personali e favori. Amara, insieme al poliziotto Filippo Paradiso finito in carcere nella giornata di oggi, avrebbe permesso l'arrivo dell'ex procuratore con l'aiuto di alcuni amici. I due avrebbero esercitato pressioni sui membri del Csm "da loro conosciuti direttamente o indirettamente", scrive l'accusa.
I rapporti sarebbero andati avanti anche quando Amara è diventato consulente di Ilva in amministrazione straordinaria. Secondo l'inchiesta, avrebbe cercato di ottenere un patteggiamento per le società a giudizio nel procedimento Ambiente Svenduto. La richiesta fu però respinta dalla Corte di Assise. Nel mirino anche le decisioni adottate in seguito all'incidente del 2016 che causò la morte dell'operaio Giacomo Campo. In quell'occasione, l'avvocato Amara seguì il caso in qualità di consulente dell'Ilva. Il procuratore avrebbe assunto atteggiamenti e decisioni dirette a favorire Amara, secondo quanto sostiene la procura di Potenza.
Il giro di favori e i "fedelissimi"
Anche una volta lasciato l'incarico di procuratore capo di Trani per assumere lo stesso ruolo a Taranto, Capristo aveva mantenuto lo stesso potere sulla procura appena abbandonata. Lo avrebbe detto lui stesso in alcune intercettazioni, facendo riferimento a un gruppo di fedelissimi. "Se tu hai bisogno di qualcosa, comandiamo ancora noi lì. Quindi stai tranquillo" diceva a Nino Mancazzo, imprenditore finito ai domiciliari con l'accusa di aver fatto pressioni su un pubblico ministero di Trani per mandare a processo un uomo che aveva denunciato per usura.