Illah Dansoko, morto a 32 anni mentre sognava di tornare in Gambia: “Ambulanza in ritardo”
A San Berillo lo dicevano tutti che prima o poi sarebbe successo. Un giorno o l'altro qualcuno sarebbe morto. "Le ambulanze arrivano sempre troppo tardi, qui". E la scorsa settimana, alla fine, un uomo ha perso la vita. Si chiamava Illah Dansoko, aveva 32 anni e genitori del Gambia. Ormai da tempo viveva a Catania, in quel dedalo di stradine nel cuore del centro storico: un quartiere prima svuotato, poi diventato la zona a luci rosse e, adesso, melting pot e piazza di spaccio: le prostitute transessuali, le colombiane, i senegalesi, i gambiani. Illah viveva lì, con un permesso di soggiorno ma senza una fissa dimora, passando da un immobile vuoto all'altro, vivendo con quello che guadagnava aggiustando biciclette. Lunedì 16 novembre quando l'ambulanza è arrivata in via Di Prima, nella casa di un amico che lo ospitava, per lui non c'era più niente da fare. "Erano passate due ore da quando l'avevamo chiamata", denunciano i connazionali.
Secondo le testimonianze raccolte da Fanpage.it, il 32enne si è sentito male la prima volta sabato mattina, il 14. Intorno alle 7 sarebbe stata chiamata un'ambulanza, arrivata anche in quel caso – riferiscono i testimoni – un paio d'ore dopo. "Aveva male alle costole e all'addome", spiega un suo amico. A questo punto iniziano i buchi neri della storia: il 118 conferma la telefonata ricevuta quel giorno, ma le certezze qui finiscono. I pronto soccorso degli ospedali Garibaldi, Policlinico e Cannizzaro negano che lì abbia mai fatto accesso. "Abbiamo cercato in ogni modo, pensando che il nome potesse essere stato scritto male al triage, ma niente", affermano da uno dei tre presidi sanitari. E negli altri due la storia non cambia: nessun accesso, al sistema informatico non risulta nulla. "E non è che al pronto soccorso in questi giorni ci sia poco da fare", aggiungono, riferendosi all'emergenza Covid-19. Tutt'e tre i presidi, infatti, sono in prima linea nella lotta al coronavirus.
"Quando Illah è tornato, sabato mattina, non aveva la forza per parlare. Era troppo stanco". Ma non aveva con sé nessun referto medico né è chiaro se gli siano stati somministrati farmaci. "Ha parlato di una puntura", continuano i giovani gambiani, che nel quartiere sono riuniti nella Gambian youth association. "Un amico gli ha offerto un posto dove stare, perché vedeva che stava troppo male per dormire in una casa abbandonata". Lunedì 16 la situazione è precipitata: il ragazzo ha cominciato a stare sempre peggio, il dolore alle costole era più acuto. In serata è stata chiamata un'altra ambulanza: "Quando sono passato qui sotto, ho visto due ragazzi piangere sui gradini della casa. Ci ho messo un po' a capire che forse era per Illah", racconta a questa testata un amico, che ha assistito agli ultimi momenti di vita del giovane. "Mi sono preoccupato, ho cominciato a correre senza sapere bene che fare. Salivo e scendevo le scale. L'ambulanza non arrivava. Io non sono un medico, ma secondo me Illah era ancora vivo".
Prima dei soccorritori, a San Berillo arriva una volante della polizia. Gli agenti chiamano i soccorsi anche loro, "ma ci hanno poi detto che l'unica cosa da fare era aspettare". "Io ho chiamato tante volte con il mio cellulare, ma ha sempre risposto una voce registrata". La prima ambulanza arriva intorno alle 22.20, ma pare non fosse dotata dell'attrezzatura per la rianimazione. La seconda arriva dopo mezz'ora. Nel frattempo, sotto a quella casa si raccoglie una piccola folla di ragazzi africani. Alle volanti si aggiungono diverse automobili dei carabinieri, temendo problemi di ordine pubblico. "Mi hanno chiamato per dirmi che Illah stava morendo – interviene un altro giovane, dopo avere lasciato nel passeggino suo figlio piccolo – Quando sono arrivato c'era solo un'ambulanza. Poi è arrivata la seconda. Quando sono scesi i medici ho chiesto cosa fosse successo, mi hanno risposto che quello che era successo a Illah poteva succedere anche a me".
La stessa frase viene riportata da un altro testimone. Il cadavere di Illah Dansoko resta in casa, senza alcuna protezione, per due giorni. "Sono andato in Comune a chiedere informazioni, ma una donna ha spento le luci dell'ufficio davanti a me e mi ha detto che quel servizio era stato chiuso". È mercoledì quando i cittadini stranieri riescono a raccogliere i soldi necessari a chiamare le onoranze funebri per potere proteggere il cadavere e celebrare, il giorno dopo, un rito islamico nella moschea di piazza Cutelli, la più grande della città. La salma, adesso, è stata sequestrata: i testimoni dei ritardi dei soccorsi sono andati in questura a denunciare quanto accaduto e la procura di Catania ha aperto un'inchiesta.
"Vogliamo sapere perché Illah e morto e se la sua morte si poteva evitare – dicono i suoi amici – Non lo facciamo per il nostro amico soltanto: lo facciamo per tutti, perché si deve capire che in questo quartiere ci sono persone uguali a tutte le altre. Nessuno, se potesse, sceglierebbe di vivere qui, in mezzo alla strada". Neanche Illah lo aveva scelto: voleva tornare a vivere in Gambia, dalla sua famiglia. A gennaio 2019 aveva provato a partire: aveva speso dei soldi per comprare un documento, falso, e poi era stato arrestato in aeroporto dalla polizia di frontiera. Adesso i suoi amici lottano affinché almeno il cadavere torni a casa: su GoFundMe è stata avviata una raccolta fondi. L'obiettivo è raggiungere i settemila euro necessari per permettere il viaggio della salma dall'Italia all'Africa, affinché possa essere riconsegnata ai suoi genitori.