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Ilaria Alpi, il Sisde: “Uccisa perché aveva scoperto traffico d’armi”

Nei documenti desecretati c’è l’ipotesi che il mandante dell’omicidio avvenuto a Mogadisco nel ’94 potesse essere il “signore della guerra” e generale somalo Aidid.
A cura di Biagio Chiariello
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Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sarebbero stati uccisi perché avevano scoperto un traffico di armi in Somalia  A mettere l’ipotesi nero su bianco è stato il Sisde, il servizio segreto interno, già nel maggio 1994, a soli due mesi dall’omicidio della giornalista e del suo operatore, avvenuto il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. L'informativa fa parte dei faldoni desecretati dal governo che l'Ansa ha potuto consultare. Inoltre, in si sottolinea che, secondo ambienti dell'Olp, il mandante dell'omicidio sarebbe stato il generale Aidid, signore della guerra somalo. In particolare, il Sisdeo indica, sulla base di non meglio precisate "fonti fiduciarie", quattro somali come "probabili mandanti" dell'omicidio: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d'armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar.

 “Secondo notizie provenienti dalla Somalia – si legge in un appunto riservato del Sisde datato 31 maggio 1994 – la nave della cooperativa italo-somala ‘Somalfish’ sequestrata, a suo tempo, a Bosaso, avrebbe in precedenza trasportato armi di contrabbando per la fazione Ssdf  (Somali salvation democratic front) di quella città. Quanto sopra sarebbe emerso nel corso dell’ultimo servizio effettuato dalla giornalista italiana Ilaria Alpi, in quella zona prima di venire uccisa molto probabilmente perché qualcuno avrebbe avvertito i capi dei contrabbandieri”.

Pochi giorni più tardi, l’8 giugno del 1994, il Servizio segreto interno ribadiva: “Secondo informazioni acquisite in via fiduciaria, nel corso di un servizio giornalistico svolto a Bossaso (Somalia) qualche giorno prima della morte, i due cittadini italiani in oggetto (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ndr) avrebbero raccolto elementi informativi in merito a un trasporto di armi di contrabbando effettuato dalla motonave ’21 ottobre’ della cooperativa italo-somala ‘Somalfish’ per conto della fazione somala Ssdf”. Il duplice omicidio “potrebbe quindi essere stato ordinato dai trafficanti d’armi somali per evitare – rilevava l’intelligence – la divulgazione di notizie inerenti all’attività criminosa svolta nel Corno d’Africa”. “La giornalista – sottolineava la nota del Sisde – avrebbe inoltre, sul posto, raccolto informazioni riguardanti la vicenda del sequestro della nave e della cattiva gestione dei fondi investiti dal governo italiano”.

In una nota del 23 luglio 1994 si parla invece all'attacco armato al contingente Unosom a Mogadiscio nel corso del quale furono ammazati alcuni militari pachistani e sequestrati -e poi rilasciati- quattro ufficiali, tra i quali tre italiani. "Negli ambienti della comunità somala romana -rilevavano i servizi in quella circostanza- non vi è alcun dubbio che l'azione sia stata compiuta da elementi del clan Habarghidir e non da una banda armata qualsiasi".

Nel rapporto c’è grande spazio per la figura del faccendiere Giancarlo Marocchino, legato per via della moglie somala al presidente ad interim Ali Mahdi e primo ad essere intervenuto sul luogo dell’omicidio. Secondo fonti del Sisde, Marocchino avrebbe potuto essere implicato nel delitto, forse come "mandante o mediatore tra mandanti ed esecutori del duplice omicidio". Per quanto il servizio di intelligence estero smentisca un suo ruolo diretto nel caso del duplice omicidio, non ne esclude uno “indiretto”. Cioè “la complicità da parte del capo della sicurezza di Marocchino agli esecutori del duplice omicidio, all'insaputa dello stesso Marocchino”. Sempre secondo il Sismi, il faccendiere sarebbe stato coinvolto nel traffico d'armi, usando per tale obiettivo alcune navi della cooperazione Italia-Somalia, ma lui ha sempre negato ogni accusa e i processi che si sono tenuti non lo hanno riguardato direttamente.

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