Beth Short, all’anagrafe Elizabeth, era una ventenne del Massachusetts che si guadagnava da vivere come cameriera e si faceva ammirare per la sua chioma corvina e gli occhi di ghiaccio. Classe 1924, si era trasferita in California dopo una infanzia passata nella Medford degli anni Ruggenti, quelli in cui nasceva lo star system e gli attori, da squattrinati vagabondi quali erano considerati prima del grande schermo, erano diventati delle vere e proprie divinità. Bellissimi, strapagati, venerati sulle copertine di riviste patinate, ammirati da centinaia di fan, erano loro i veri idoli della società. Beth era cresciuta nel mito di Marlene Dietrich e come ogni avvenente ragazza americana, sognava di diventare proprio come lei, di diventare ‘qualcuno’, farsi baciare dalla fama e dal successo. Giovanissima si era innamorata di un ufficiale dell'esercito ed era stata sul punto di sposarsi e abbandonare il suo sogno. Le cose però erano andate diversamente, il suo fidanzato era morto tragicamente prima di poter convolare a nozze e Beth era tornata a servire ai tavoli e a fare qualsiasi tipo di lavoro che le permettesse di realizzare il suo sogno.
Chi era la ‘Dalia Nera'
Occhi azzurro ghiaccio e capelli neri, la fronte spaziosa, quasi oltremisura e il viso dai contorni duri, era bella di una bellezza imprevedibile, niente affatto cinematografica. Tanto più si sforzava di posare, truccata e con i capelli cotonati, per le cartoline da mostrare agli agenti del mondo dello spettacolo, tanto più appariva banale, artefatta, inadeguata. Bellissima e misteriosa appare invece nell’unica foto che sembra averne colto l’essenza. È la foto segnaletica scattata quando, ancora minorenne, venne fermata dalla polizia per aver bevuto alcolici prima dei 21 anni. Di lì a qualche anno, il Proibizionismo avrebbe fatto fiorire un vero e proprio impero clandestino nel marcato nero di alcolici, ma questo Beth non lo avrebbe mai saputo. Non avrebbe mai visto un set, non avrebbe saputo nulla delle liste di Proscrizione e del Maccartismo. L’unico ruolo che avrebbe interpretato sarebbe stato quello della vittima nel più orrendo delitto che la dorata e corrotta Hollywood abbia mai cercato di nascondere dietro le lettere della scritta sul Monte Lee.
L'omicidio che sconvolse Hollywood
Alle 10 del mattino del 15 gennaio 1947, una donna che attraversava a piedi Leimert Park, notò in un campo abbandonato qualcosa che le sembrò essere un manichino smontato. Si avvicino, inspiegabilmente attratta dal candore innaturale di quel pezzo di plastica. Quando fu più vicina, però, si accorse che quel corpo tranciato in due parti era quello di una giovane donna. Cinquantasei minuti dopo, in quel desolato terreno alla periferia di Los Angeles c’era una pioggia di flash. Decine di cronisti si affannavano a scrivere sui coloro taccuini. Si affrettavano a scrivere la notizia più importante di quel succulento e macabro scoop: l’identità della vittima, era Elizabeth Ann Short. Ci era voluta poco meno di un'ora a identificare quella donna perché le sue impronte erano già presenti nell'archivio dell'FBI per un vecchio fermo che riguardava l'assunzione di alcolici. A nutrire le penne dei giornalisti e le polaroid dei paparazzi erano i particolari di quell'omicidio. Il corpo appariva reciso in due. Bianco e immacolato era stato completamente ripulito dal sangue, anzi, di più: era stato svuotato dal liquido ematico. Sul viso, Beth aveva una ferita di forma inquietante: un taglio profondo che andava da un orecchio all'altro, noto come Glasgow smile, perché ricorda sinistramente un sorriso. Con gli splendidi capelli neri tinti di rosso dall'assassino e quella sorta di sorriso tirato la rendeva quasi simile a un Clown. Anche il corpo tagliato in due ricordava macabramente gli spettacoli dei maghi del mondo circense. Il corpo, inoltre, era ricoperto di segni di tortura e gli organi genitali erano stati asportati. I giornali la battezzano ‘Black Dalia', la dalia nera, rendendola almeno nella morte, famosa quanto la Veronika Lake di ‘Dalia Azzurra'.
Le indagini
Non era l'assassinio di una cameriera semisconosciuta che bazzicava il mondo del cinema ad aver sollevato quell'enorme polverone mediatico. Da quello di Virginia Rappe, a quello di Thelma Todd, all'omicidio del marito di Lana Turner, decine erano gli assassinii e i suicidi che il mondo di Hollywood contava ogni anno. A fare notizia, questa volta, era la storia di perverso sadismo e di orrore che un assassino sconosciuto aveva scritto e che da lì a poco avrebbe coinvolto molti personaggi del cinema. L'omicidio di Elizabeth Short, con la sua dinamica di violenza e sevizie e i suoi retroscena da noir stava per diventare il caso più seguito dalle autorità di LA. Alcuni giorni dopo il delitto, il direttore del giornale ‘Los Angeles Examiner' ricevette la telefonata di un uomo che si lamenta che all'omicidio di Beth non sia stata data la dovuta attenzione e promette di inviare gli abiti di Elizabeth. Sulle prime la polizia pensò che fosse un mitomane, ma alcuni giorni dopo fece seguito l'invio degli effetti personali di Beth. Da allora il presunto killer tacque. Decine di agenti e di ispettori furono fatti convergere sul caso. Secondo la ricostruzione degli investigatori, Elizabeth sarebbe stata vista l'ultima volta la sera del 9 gennaio 1947, nella hall del Biltmore Hotel di Los Angeles, dove probabilmente si trovava in compagnia di un uomo. Dalle indagini emerge che Beth, non trovando fortuna come attrice nelle grandi produzioni, aveva partecipato ad alcuni film porno, la cui realizzazione all'epoca era illegale. Insomma, Elizabeth era una ragazza sola, ai limiti della povertà e invischiata nelle sordide storie di una Hollywood oscura e sotterranea, quella delle marchette, del porno e dell'abuso di droghe. Il sospetto è che la giovane aspirante attrice che avrebbe dato tutto per interpretare un ruolo, fosse finita nella tela di un personaggio influente o che le aveva fatto credere di essere tale. Qualcuno, con una grande consuetudine con il bisturi e nella mente l'ossessione di uccidere.
Il profilo del killer
L'autopsia aveva rivelato che il corpo di Betty era stato sezionato con precisione chirurgica e poi svuotato del sangue. Un'operazione che fece pensare a un medico, mentre la mutilazione genitale era il chiaro sintomo di una sessualità malata e perversa. Eppure qualcosa nel profilo psicologico del killer sfuggiva agli investigatori: perché l'assassino aveva voluto tingere di quel rosso acceso i capelli di Beth? Perché le aveva deturpato il volto con quel sinistro sorriso ripiegato ai lati come fosse in una crudele smorfia? Il ritratto che ne emergeva era quello di un assassino ossessivo, meticoloso, metodico. Qualcuno che aveva ucciso senza fretta, che non aveva paura di essere scoperto e che poi, con sprezzo del rischio e forse come gesto di sfida, aveva lasciato quel corpo deturpato in bella vista, quasi per farlo ritrovare. Non lo aveva sepolto né distrutto in alcun modo, sembrava quasi orgoglioso di mostrarlo, in una narcisistica ostentazione di crudeltà. Un profilo non certo incompatibile con il variegato universo umano di produttori, registi e attori di LA, molti dei quali avevano già intrapreso la strada della corruzione e dell'abuso di alcol e droghe.
Sospettati ‘eccellenti'
In pochi anni nel novero dei sospettati finirono diverse decine di persone, tutti uomini. Solo su venti di queste la polizia svolse accertamenti, ritenendo gli altri, molti dei quali avevano addirittura confessato, niente altro che mitomani. Il primo a essere interrogato fu Robert M. Manley, l'ultimo ad aver visto Beth in vita. Il suo alibi tuttavia si rivelò solido. Un altro indagato credibile sembrò essere Walter Bayley, chirurgo di Los Angeles, che aveva vissuto, fino all'ottobre 1946, in una delle case del quartiere in cui fu ritrovato il corpo della cameriera. Elizabeth, peraltro, era amica della figlia di Bayley. George Hodel, medico, fu attenzionato dalla polizia di Los Angeles nell'ottobre 1949, quando sua figlia quindicenne Tamara lo accusò di molestie. Lo stesso Steve Hodel, figlio di George ed ex-detective della Sezione Omicidi della Polizia di Los Angeles sostenne che il padre fosse non solo l'autore del delitto della "Dalia Nera", ma anche di una serie di omicidi irrisolti. Tuttavia non si trovarono mai prove del suo coinvolgimento nel delitto. Anche il celebre regista Orson Welles finì nella cerchia dei sospettati del delitto Short. Ad accusarlo fu Mary Pacios, ex-vicina di casa della famiglia Short a Medford. La donna fece allusione all'analogia tra il modo in cui era stato tagliato il corpo di Beth e alcuni manichini del film ‘La signora di Shangai'. Solo alcuni di questi sospettati finirono ufficialmente nel registro degli indagati, ma per nessuno emerse mai il minimo indizio che ritenesse ipotizzabile un arresto.
L'epilogo
Alcuni accusarono i media di aver insabbiato il caso e, in effetti, la stampa una responsabilità in tal senso l'aveva. Se la scena del delitto fosse stata preservata dal calpestio di fotografi e cronisti, gli inquirenti avrebbero potuto rilevare impronte di scarpa, di pneumatici, fibre, capelli o altri elementi che avrebbero potuto condurre all'identità dell'assassino. L'assalto di giornalisti cancellò dalla scena qualsiasi traccia, compromettendo irrimediabilmente i rilievi della Scientifica. Dopo settant'anni da quella fredda mattina di gennaio, purtroppo, nulla è cambiato, il killer di Elizabeth Ann Short resta un uomo senza volto, una fantasma che esiste ancora insieme alla memoria di quella Hollywood notturna, corrotta, criminale, la stessa così ben descritta nel libro che fu coevo all'assassinio di Beth, ‘Hollywood Babilonia". Il caso Short è tuttora aperto, un agente di un distretto non meglio noto detiene ancora la delega del fascicolo per omicidio. In realtà le indagini hanno smesso di progredire quando la storia ha smesso di essere una delle prime notizie dei quotidiani. Alla storia dell'omicidio Short si sono ispirati scrittori – tra cui James Ellroy – e registi. Oggi, nel luogo dove sono stati abbandonati i resti di Elizabeth, sulla Northon Avenue, è spuntata una schiera di case residenziali. Nessuno ricorda più quell'omicidio e non ci sono targhe che conservino la memoria di quanto accaduto. A 23 anni, con quella sua bellezza inafferrabile, si è cristallizzata l'immagine di Elizabeth che per tutti resterà la ‘Dalia nera', creazione e vittima di una stampa bulimica e sensazionalista e di quella Hollywood che a Beth aveva saputo dare solo un tragico ruolo.