“Il tempo passa, torni e non riconosci tua madre”: le voci dei marittimi, per mesi lontani da casa
"I marittimi italiani hanno una notevole capacità di resilienza, sono efficienti sul lavoro e hanno un forte senso di responsabilità. Tuttavia soffrono di routine e solitudine. Gli ufficiali corrono un rischio burnout più elevato e, rispetto agli altri lavoratori, patiscono maggiormente lo stare soli, considerando anche la consapevolezza del carico di lavoro spesso equiparato a quello del comandante".
Ciò è quanto emerso da uno studio presentato a Genova, dal gruppo di ricerca "Psicologia del mare" che ad ottobre 2023 ne ha condiviso i risultati in occasione di un convegno dedicato ai marittimi italiani.
I ricercatori dell'Università di Torino e della Sapienza di Roma hanno coinvolto un campione di 848 marittimi tra cui ufficiali, comandanti, direttori di macchina, sottoufficiali e comuni, tutti impiegati su diverse tipologie di navi come quelle passeggeri, cargo e unità operative.
A loro è stato chiesto di guardare e analizzare in profondità non solo tutta la serie di aspetti riguardanti la vita lavorativa in mare, ma anche quelli prettamente intimi e personali come le relazioni sociali con i colleghi, la qualità del proprio benessere psicofisico, la tipologia di sentimenti provati e così via.
Dall'indagine è uscito fuori, tra le numerose cose, che è necessario intervenire su fattori specifici per ciascuna delle categorie: su quelli di rischio legati al carico del lavoro, quelli di protezione come la capacità di relazionarsi, sui rischi sociali, dinamiche negative a bordo e solitudine.
"Bisognerà adottare politiche ed iniziative specifiche volte al sostegno sia pratico che psicologico (dei marittimi italiani, ndr) per tornare a livelli di aiuto reciproco che in un ambiente di lavoro complesso come quello della nave, sono fondamentali". Sono state le parole di Claudio Tomei, presidente Uslac (Unione sindacale capitani lungo corso al comando) nel corso del recente convegno.
Da qui quindi, la necessità di Fanpage.it di confrontarsi con chi vive o ha vissuto in prima persona la vita di bordo. Raccolte le numerose testimonianze rilasciate dai naviganti appartenenti alle più svariate categorie lavorative, è stato opportuno chiedersi: quanto costa essere un marittimo?
Che siano comandanti, direttori, commissari, ufficiali, marinai, elettricisti, addetti all'animazione, ballerini, baristi, receptionist, e qualsiasi altro membro dell'equipaggio di una nave, la maggior parte dei propri racconti subisce una scossa non appena si inizia a parlare di salute mentale.
Fanpage.it ha affrontato l'argomento con diversi marittimi, primo fra questi, Francesco Bertuccelli, un ragazzo di 26 anni che da pochissimo ha fatto rientro nella sua città d'origine, Messina, in seguito alla decisione di abbandonare temporaneamente la vita in mare.
Francesco, su quale tipologia di navi hai lavorato e di che cosa ti sei occupato?
Dall'età di 18 anni ho iniziato a studiare per diventare croupier, dopo una breve esperienza all'estero ho deciso di intraprendere la vita di bordo. All'inizio ero affascinato dal fatto che si potesse viaggiare in giro per il mondo, ero giovanissimo e avevo tanta voglia di crescere professionalmente. Poi il tempo ti presenta il conto.
Ho navigato sulle navi da crociera per cinque anni e mi sono sempre occupato del casinò. Inizialmente ero entusiasta all'idea che potessi stare a contatto ogni settimana con persone diverse, di ogni nazionalità. Ero molto ambizioso, volevo fare carriera.
Adesso sei tornato in Sicilia e non sei sicuro di voler ritornare a lavorare in quel mondo. Cosa ti ha fatto cambiare idea?
A differenza di quello che si può pensare, navigare non è affatto facile e spiegare alle persone intorno il perché, è ancora meno semplice. La maggior parte di esse, nel mio caso, immaginano una vita brillante a bordo, con la possibilità di visitare mete da sogno, di relazionarsi continuamente con nuovi passeggeri, farsi nuovi amici, partecipare agli eventi, insomma, vivere un vita serena e spensierata.
Per certi versi è così, ma dietro tutto questo si nascondono altrettanti momenti bui. E assicuro che ce ne sono tanti. Scegliere di navigare è una scelta coraggiosa e nonostante tutti noi marittimi siamo perfettamente consapevoli di cosa ci aspetta dal momento in cui mettiamo piede su una nave, non siamo mai del tutto pronti e coscienti.
Ho deciso di staccare e tornare a casa prima del previsto perché stavo male e non potevo ancora una volta, ignorare il mio disagio a bordo. Alzarmi al mattino non è mai stato un problema, l'idea di iniziare la giornata lavorativa non mi ha mai buttato giù, a differenza invece di come mi sono sentito nell'ultimo periodo.
Ci vuoi raccontare cosa è successo?
Quando si è soli per tanto tempo, distante dalla famiglia, dall'effetto di chi ti vuole bene, si soffre. E si soffre ancor di più quando magari si avvicinano le festività e queste ultime le puoi "vivere" solo in foto. Quando trascorri il Natale, il Capodanno, la Pasqua, tre, quattro, cinque anni di fila lontano da tutti, è lì che inizi a sentire il peso di questa vita sacrificante.
Nel momento in cui torni a casa ogni sei mesi e vedi il volto di tua madre cambiato dai segni del tempo che passa, capisci che non ti stai godendo nulla. Ti chiedi: sto andando nella direzione giusta? Questa è la domanda che mi sono posto nuovamente negli ultimi giorni, prima di sbarcare.
Sentivo dentro di me ansia e un forte malessere nel pensarmi su quella nave. Tutto ad un tratto non avevo più voglia di lavorare e spingere per la mia carriera, come ho sempre desiderato. Così mi sono accorto che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.
Turbe e paranoie sono frequenti per chi fa questo mestiere. Sei così focalizzato sul lavoro che non hai neppure il tempo e il modo di chiederti se ciò che fai ti rende veramente felice. La solitudine è una brutta bestia e la si può avvertire anche se circondati da seimila persone.
Mi sono rivolto prima al manager delle risorse umane e poi lui mi ha segnalato al centro medico presente sulla nave. La salute mentale viene gestita in maniera totalmente diversa rispetto a come avviene su terra ferma. Dopo un primo consulto con uno psichiatra ho deciso di presentare la domanda di sbarco. Ora a Messina sto cercando una psicologa con la quale iniziare un percorso e risolvere le mie problematiche, in larga parte sicuramente dipese dal mio lavoro.
Come vedi il tuo futuro lavorativo? Cosa vorresti dire a chi sta vivendo un momento di sconforto?
Ad oggi non so più se voglio navigare, da un lato la voglia di tornare c'è e dipenderà dalla condizioni di lavoro a bordo. Per incentivare le persone a navigare basterebbe che offrissero benefit, comfort che ora sono del tutto assenti. Sembrerà una banalità ma anche avere la rete Internet gratis, farebbe tanto.
Ho scelto di parlarne perché so bene che ci sono tantissimi giovani come me, ma anche persone più adulte, bloccate nella mia stessa situazione. A loro vorrei dire di stare tranquilli, di non avere paura a chiedere aiuto. Non c'è nulla di cui vergognarsi e parlarne non vuol dire essere deboli.
Invece a chi di dovere vorrei dire: alzate l'asticella della qualità della vita di bordo. Se il tuo dipendente è felice e sta bene mentalmente, potrà sicuramente occuparsi meglio anche del benessere altrui. Nessuno può mai sapere cosa si nasconde dietro una tuta da lavoro sporca, una divisa ben stirata e un sorriso accogliente diventato abile a nascondere quel velo di tristezza.
A raccontarci delle difficoltà che comporta la vita nel settore navale, è stato anche un altro giovane ragazzo, Davide Mitrano, allievo di coperta su una petrolchimichiera italiana. Alla domanda sul perché si è reso disponibile a parlare di salute mentale a bordo, ha risposto:
"Ho sentito la necessità di parlarne perché la vita per mare è complicata. Quelle che viviamo e vivono ogni giorno milioni di marittimi, sono realtà serie e preoccupanti. Le ore lavorative giornaliere sono molte di più rispetto a quelle previste da contratto, il carico di lavoro è pesante e anche le condizioni di vita non ci permettono di vivere dignitosamente.
Lavorare navigando ti porta a stare lontano da casa per lunghi mesi, interminabili. Poter sentire la voce dei propri cari spesso è una fortuna. In un ambiente come il nostro, solo poter usufruire di Internet (anche gratuito) per metterci in contatto con la terra ferma, significherebbe moltissimo. Eppure la maggior parte di noi si ritrova a pagare prezzi eccessivi solo per potersi sentire meno solo".
Poi ha aggiunto: "Avere una figura a bordo a cui poter rivolgersi nei momenti di abbattimento è fondamentale. Vitale. Sulla mia nave, ad esempio, non è presente questa figura (come in tante altre realtà) e se abbiamo un problema ne parliamo direttamente con il comandante.
L'introduzione di uno psicologo di bordo sarebbe di grande aiuto, essere soli non è bello, abbiamo bisogno di qualcuno pronto ad ascoltarci e che non sia necessariamente qualche parente o amico. La salute mentale dei marittimi da chi viene tutelata? Da nessuno".
Come Davide, anche Eleonora Musumeci, ballerina ed intrattenitrice a bordo della navi da crociera, ha deciso di affrontare il tema salute mentale e raccontarci la propria esperienza. "La vita in teatro a bordo è bellissima, per chi ama la danza, gli spettacoli, stare a contatto con persone sempre diverse, la nave è il luogo perfetto. Nonostante ciò, c'è da considerare sempre la seconda faccia della medaglia che apparentemente sembra luccicare. Tutti, chi prima chi dopo, ad un certo punto del proprio imbarco, si trova a fare i conti con stress e solitudine.
Personalmente ho vissuto situazioni molto difficili in nave, come quando siamo rimasti bloccati al Polo Nord tra ghiacciai e neve che non smetteva di scendere. Lì non potevamo fare altro che sperare che prima o poi qualcuno venisse ad aiutarci. Il cibo iniziava a scarseggiare, non abbiamo visto terra per un mese e non eravamo sicuramente pronti psicologicamente a tutto questo. I cellulari non riuscivano ad agganciarsi al segnale, non potevamo comunicare con nessuno e distrarsi era impossibile.
Ecco, magari dopo un'esperienza del genere, sarebbe stato opportuno avere una figura a bordo con la quale affrontare le conseguenze psicologiche dell'accaduto.
Ho iniziato a lavorare come ballerina a Parigi, poi il teatro presso il quale lavoravo ha preso fuoco e allora ho deciso di tentare le audizioni per le navi da crociera. Pensavo che l'acqua dopo il fuoco potesse tranquillizzarmi…e da quel momento sono trascorsi ben 8 anni".
Poi continua: "Potersi confidare con una persona che ti ascolta veramente, che c'è anche quando è tardi, quando dall'altra parte del mondo ci sono 12 ore di fuso orario e ti senti solo, quando non c'è tempo, significherebbe molto. A bordo per mesi e mesi, come accade per la maggior parte dei membri dell'equipaggio, non ci sono giorni di riposo. Non ci sono momenti di svago o di piacere e restare saldi mentalmente è un'impresa.
Per questo motivo poter anche solo scambiare una parola con qualcuno, potrebbe dare sfogo ai nostri pensieri, emozioni. Tante volte ho letto di colleghi che per disperazione si sono gettati in mare, sono sicura che se avessero avuto un aiuto psicologico sarebbe andata diversamente.
Tra gli aspetti che più ci fanno soffrire a bordo, oltre la solitudine c'è anche la questione privacy. Non tutti hanno la possibilità di dormire in una cabina singola, la maggior parte di noi la condivide con i colleghi e gli spazi sono angusti. Parlare liberamente al telefono dopo una giornata di lavoro è impensabile, non hai intimità e tutto ciò a poco a poco si riversa sulla tua salute mentale.
È una vita difficile, bisogna adattarsi continuamente con il personale che cambia e ogni volta ricominciare da capo. Peggio ancora poi se si parla della vita a bordo dei traghetti, già il fatto che siano quasi tutti uomini, per una donna è ancora più complicato raccontarsi, dare sfogo ai propri problemi".
Se finora le voci che abbiamo sentito provengono da addetti all'intrattenimento, allievi di coperta, diversa è la questione per la categoria degli ufficiali. Quest'ultima fa fatica a parlare pubblicamente "perché i rischi legati al futuro lavorativo sono dietro la porta e spaventano".
Fanpage dunque riporta alcuni dei pensieri più ricorrenti e che accomunano gli ufficiali di navi passeggeri, traghetto, petroliere, da carico. Ma non solo, dà voce anche al personale di bassa forza, tra i primi a soffrire maggiormente le conseguenze della vita da marittimo.
"Lavoro sui traghetti e quando arriva il giorno dell'imbarco vivo un dramma, in primis psicologicamente perché molto spesso abbiamo a che fare con persone poco raccomandabili che non hanno niente da perdere, quindi condividere la cabina per mesi con questa tipologia di colleghi non è facile".
"Gli armatori ci sottopagano e pretendono da noi marinai l'impossibile, non tenendo conto neppure delle condizioni in cui ci fanno vivere. Cabine sporche, poco funzionanti, condivise con perfetti sconosciuti, per non parlare dell'amianto presente all'interno. Pericolosissimo".
Mentre, le parole degli ufficiali: "Indossare una divisa bianca perfetta e immacolata con i gradi in bella vista sulle spalle, non fa di te una persona necessariamente felice. Anche se all'apparenza potrebbe sembrare così. Le pressioni lavorative che si ricevono dai superiori sono continue, le responsabilità cui sai di doverti addossare sono enormi, non bisogna mai dimenticarsi che in questo lavoro si ha a che fare con vite umane".
"Ogni volta che parto penso già al giorno in cui dovrò sbarcare. Stare accanto alla famiglia è un privilegio di cui noi marittimi, per troppo tempo, non godiamo. Che senso ha vivere così? Sono stati tanti i momenti di difficoltà e magari avessi potuto parlarne con qualcuno disposto ad ascoltarmi senza fretta".