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Divisi alla nascita, mamme e figli che si cercano

Il rimorso di Vincenza: “Vorrei dire a mia figlia che non sono stata io ad abbandonarla”

Vincenza, una casalinga napoletana di 43 anni, è rimasta incinta giovanissima. Lo stesso giorno in cui ha dato la luce una bimba, i suoi genitori le hanno fatto firmare con l’inganno un documento in cui dichiarava di voler abbandonare la piccola in ospedale. “Mi hanno fatto credere che mia figlia fosse morta dopo il parto. Ma non era vero. Vi chiedo di aiutarmi a ritrovarla”, è il suo appello ai lettori di Fanpage.it.
A cura di Mirko Bellis
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Vincenza a 26 anni, l'età che dovrebbe avere adesso la figlia
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Vincenza, una casalinga napoletana di 43 anni, vive con un terribile rimorso. Quello di non aver mai conosciuto la figlia che ha messo al mondo quando aveva solo 15 anni. “Quando sono rimasta incinta ero poco più di una bambina”, racconta a Fanpage.it. “I miei genitori, quando lo hanno saputo, mi hanno isolata dal mondo intero. Non potevo vedere nessuno e persino il ragazzo con cui avevo una relazione non ha mai saputo di essere diventato padre”. Benché giovanissima, Vincenza decide di portare avanti lo stesso la gravidanza. “Avevo comprato i vestitini, la carrozzina, tutto l’occorrente insomma”. “Mia sorella maggiore e il marito erano disposti a prenderci entrambe con loro, fino a quando non avessi compiuto 18 anni. Avevo deciso anche il nome: Fabiola”. Il destino, però, aveva riservato un futuro diverso per lei e la figlia.

Il giorno del parto, avvenuto il 23 giugno 1992 nella casa di cura Villa dei Fiori, a Mugnano di Napoli, accade qualcosa di inaspettato. “Dopo aver dato alla luce una neonata sanissima – ricorda – sono ritornata nella stanza e ho trovato ad attendermi la mia madrina. E’ stato terribile quando mi ha detto che la mia bimba era morta subito dopo il parto”. Vincenza è ancora turbata quando i familiari le mettono davanti agli occhi una carta da firmare. “Mi hanno detto che erano i documenti attestavano la morte della piccola e, una volta firmati, avrei potuto lasciare la clinica”. Sotto choc, accetta di scrivere il suo nome in quel foglio. Non sa ancora di aver firmato un ʻparto in anonimatoʼ, in cui la mamma dichiara di non riconoscere il proprio figlio e di rimanere “segreta” per sempre.

Con il cuore a pezzi, la 15enne fa ritorno a casa. “Ero imbottita di farmaci e tranquillanti – afferma – per sopportare il dolore della morte della mia bambina”. La drammatica scoperta della verità avviene sei mesi dopo. Per caso, Vincenza carpisce la conversazione telefonica tra lo zio e una donna. “Quello che ho sentito mi ha sconvolta. Questa persona rassicurava mio zio dicendo: ʻLa bimba è stata data in adozione ad una nuova famiglia. E’ andato tutto come previstoʼ. Ho cominciato ad urlare dalla disperazione, però i miei genitori continuavano a ripetermi che ero stata io a consentire l’adozione firmando per il parto in anonimato. Ma non era vero”.

Per Vincenza, come per tutte le donne che scelgono di rimanere anonime dopo il parto, la legge non prevede ripensamenti: una “mamma segreta” lo sarà per sempre. Trascorsi due mesi dalla decisione di lasciare il bimbo in ospedale senza riconoscerlo, non è possibile tornare indietro. Sui figli dati in adozione, i genitori biologici non hanno più alcun diritto in quanto l’adozione è un atto irrevocabile. “Da quando ho scoperto la verità, ho iniziato a chiedere chi avesse adottato la mia bambina però mi rispondevano di dimenticare, perché l’avevano fatto per non rovinare la mia vita e assicurare a lei un avvenire diverso. L’unico risultato che hanno ottenuto, invece, è mandare a rotoli la mia esistenza. Ho iniziato ad avere un atteggiamento autolesionista, a farmi del male. Non ho mai smesso di pensare a lei”.

Nella sua disperata ricerca di informazioni, un giorno Vincenza decide di andare nell'ospedale in cui è nata la bimba. “Quando sono entrata per chiedere la cartella clinica, ho rivissuto tutti quei momenti terribili. Mi è entrata una crisi di panico e sono fuggita via. E da allora non ho più trovato il coraggio di ritornarci”. Nemmeno i suoi familiari sono in grado di aiutarla.  “Mio papà è morto e mia madre soffre di demenza senile; anche la mia madrina non c’è più. E Il resto dei miei parenti si è dimenticato persino la data in cui è venuta al mondo”.

La vita di Vicenza in questi anni è cambiata: si è sposata ed è diventata madre un'altra volta. Ma dentro di sé ha ancora un vuoto incolmabile. “Sento che mi manca qualcosa”, confessa. “Non ho reso pubblica la mia storia prima perché avevo paura della reazione delle persone. Temevo che mi giudicassero”. “Aver perso in questo modo mia figlia è un rimorso che ancora mi perseguita”. “Spero che lei oggi mi assomigli e possa riconoscersi in questa mia foto di quando avevo 26 anni, l’età che ha adesso. Se dovessi ritrovarla, non è mia intenzione rovinarle la vita – conclude Vincenza – vorrei solo sapesse che non sono stata io ad abbandonarla”.

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