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Il Riformista perde 2000 euro al giorno. E la chiusura è dietro l’angolo

Il quotidiano fondato da Antonio Polito verso la chiusura a causa del forte indebitamento. Il direttore Macaluso e l’amministratore Gianni Cervetti sono pessimisti: se non arriva un editore pronto a mettere quattrini freschi non ci sarà alcuna alternativa alla serrata.
A cura di Alfonso Biondi
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Il direttore de Il Riformista Macaluso

Il Riformista si avvia verso la chiusura. Il quotidiano fondato nel 2002 da Antonio Polito, come rivela Lettera43, naviga in cattive acque ed è possibile che presto chiuda definitivamente i battenti. E le indiscrezioni emerse dal colloquio di oggi tra il direttore della testata Emanuele Macaluso e l'amministratore unico Gianni Cervetti non fanno presagire nulla di buono: l'indebitamento del giornale è tale che la chiusura resta l'unica strada percorribile, a meno di improbabili interventi da parte di editori disposti a rischiare i propri quattrini.

La testata perde 2mila euro al giorno- Il giornale ha già tagliato tutto ciò che si poteva tagliare: l'orario di lavoro e la retribuzione dei giornalisti, il numero di pagine della testata (passate da sedici ad otto), i costi del centro stampa di Catania. La situazione, però, non s'è raddrizzata chissà quanto: Il Riformista, infatti, continua a perdere 2mila euro al giorno e le previsioni di bilancio, che avevano preventivato entrate annue per circa un milione di euro, non si sono rivelate esatte. I tagli al Fondo per l'editoria, nonostante l'aumento di 120 milioni deciso proprio in questi giorni dal governo Monti, hanno portato ancora più in alto la linea di galleggiamento: le condizioni per la sopravvivenza, insomma, non ci sono più.

Il salvataggio impossibile- Tra tre giorni sul tavolo dei Consiglio dei Ministri ci sarà nuovamente il finanziamento pubblico ai giornali. Ma anche nel caso vengano ripristinati interamente i vecchi fondi destinati a Il Riformista, per Macaluso e Cervetti il salvataggio della testata passerebbe comunque per la richiesta di un mutuo alle banche. Una prospettiva, quest'ultima, che sembra non piacere né al direttore né all'amministratore, che già salvarono il giornale nel 2011, quando lo presero dalla famiglia Angelucci.

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