Il presidente Cei Zuppi ai maturandi: “Aiutateci a migliorare il mondo, non c’è tempo da perdere”
“Dopo due anni indubbiamente difficili, credo che questi esami siano una prova che ci aiuta a misurare la nostra capacità di superare le difficoltà. Purtroppo, talvolta abbiamo vissuto una caricatura della vita per cui tutto debba andare sempre bene, ma poi ci siamo accorti che non è così. Avete dovuto affrontare tanto isolamento e tanta distanza. E gli esami ci aiutano ad affrontarle, le prove. A non evitarle, a non cercare la furbata, a prepararsi e soprattutto a guardare il futuro, nel quale crediamo tanto. Prepariamolo. C'è in generale, o ci dovrebbe essere, un piano di ricostruzione, poi c'è quello personale di ognuno di noi: scommetteteci, portatelo avanti e aiutate a rendere migliore questo mondo che, come si vede, di pandemie ce ne ha parecchie e ha tanto bisogno di persone che aiutano il bene di tutti con la propria competenza e con il proprio servizio”. Queste le parole che monsignor Matteo Maria Zuppi, nominato presidente della Conferenza Episcopale Italiana da Papa Francesco a fine maggio, ha deciso di rivolgere tramite Fanpage.it agli studenti che stanno per cominciare gli esami di maturità nel nostro Paese.
Romano classe 1955, arcivescovo di Bologna dal 2015 e cardinale dal 2019, Zuppi è considerato ad oggi uno dei più importanti uomini di chiesa in Italia. Ma cosa si ricorda della sua maturità? “Grossi tornei di ping pong” risponde sorridendo. Poi aggiunge: “Ricordo ovviamente l'apprensione, la stanchezza, ma anche la sfida. Fu una preparazione collettiva coi miei compagni di classe, con appunto qualche momento non propriamente accademico, diciamo così, ma anche con molta serietà”.
Cosa pensa del racconto, talvolta con toni negativi, che viene fatto oggi dei giovani? E come può la chiesa approcciarsi a loro?
“Intanto, se ci sono dei problemi forse dovremmo farci qualche domanda noi, delle generazioni precedenti, verso di loro. In realtà sono molto più attenti, più generosi e più desiderosi di quanto noi pensiamo. Che cosa deve fare la chiesa? Deve in primo luogo camminare con loro. E forse deve da una parte ascoltarli di più e dall'altra anche dire qualcosa di più. E continuare a dire che l'amore che ci insegna il Vangelo è straordinario e in realtà rende bella la nostra vita, rendendo bella quella degli altri. Che è molto più vicino ai nostri problemi e ci aiuta ad affrontarli molto più di quanto pensiamo”.
Più in generale, invece, qual è secondo lei il ruolo della chiesa nel mondo contemporaneo?
“Innanzitutto è quello di essere vicino a chi soffre. Di ricordare che Gesù si è fatto uomo per dire quanto è importante l'umanità e quanto va al contrario quando l'umanità viene disprezzata, ignorata. Quando l'altro sembra che non esista. O quando addirittura, come nella pandemia della guerra, l'altro diventa un nemico. La chiesa ha molto da dire, ha molto da insegnare, molto da curare. Ha molte frontiere da abbattere. Nella chiesa l'altro, qualunque esso sia, è mio prossimo, cioè è mio fratello. Quindi è una cosa bellissima la chiesa in un mondo globalizzato. È quel ‘fratelli tutti' che Papa Francesco ha indicato come una grande visione. In un mondo così tanto diviso, a volte così impermeabile all'altro, secondo qualcuno che ha ucciso il prossimo, ed effettivamente l'egocentrismo e l'individualismo uccidono il prossimo, la chiesa continua a dire che non puoi vivere senza l'altro e che l'altro è una parte di te”.
A proposito di guerra: sul conflitto in Ucraina, Bergoglio ha detto di recente che non sarebbe corretto ridurre tutto ad una distinzione fra buoni e cattivi. È d'accordo?
“Penso di si, perché in un bipolarismo un po' digitale, pigro, da schieramento, pensiamo di trovare i buoni e i cattivi immediatamente. È molto più complicato. È evidente che c'è un aggressore e un aggredito, ma per capire la complessità delle situazioni bisogna entrarci dentro. Invece in genere così, cioè buoni e cattivi, se ne esce. Non capiamo la realtà, pensiamo di capirla. Quello che dobbiamo fare è ricordarci sempre dell'aggressore e dell'aggredito e soprattutto cercare con ostinazione la via della pace. Anzi, le vie della pace”.
Molti la definiscono un vescovo progressista: come immagina la chiesa italiana del futuro nel suo rapporto con temi proprio di questo genere? Saprà adattarsi ai cambiamenti della società?
“Non esiste il vescovo progressista, di per sé deve esistere il vescovo del Vangelo. Che la chiesa debba cambiare è evidente, però questo cambiamento non è diventare uguale al mondo, ma è farsi interrogare dai tanti segni dei tempi e trovare risposte adeguate. Ci sono tanti temi su cui dobbiamo trovare delle parole diverse, nuove. Capaci di spiegare le preoccupazioni della chiesa e anche alcuni aspetti che vanno cambiati. Ma non so se questo è progressista. È più che altro cercare di essere evangelici e cercare di essere uomini di chiesa. Il problema è sempre la fedeltà al Vangelo. Ed è lì la vera sfida. Guardando tanta disumanità che c'è intorno a noi, è indubbiamente la vita più umana che c'è, quella che il Vangelo ci propone. La chiesa ha dei cambiamenti? Certo, il Concilio ha cambiato tante cose. Prima in chiesa donne e uomini erano separati, c'era il latino, le donne entravano col velo. L'importante è vivere sempre il Vangelo, metterlo in pratica e con sapienza nelle comunione, quindi vivendo tutti quanti insieme, camminare”.
Ci potrebbero essere dei cambiamenti in futuro, quindi, anche per quanto riguarda il matrimonio fra persone dello stesso sesso?
“Chiaro che il matrimonio per la chiesa è fra un uomo e una donna, è evidente. È cambiato l'atteggiamento di tutti verso due persone con tendenze omosessuali, è cambiato tantissimo. E la chiesa, nei suoi documenti, manifesta una grande attenzione, perché questa non significhi discriminazione. Dobbiamo anche sempre tenere presente che la chiesa è universale, unitaria. È una madre che deve tenere assieme tutte le componenti. Con grande sapienza, attenzione e tanta comunione”.
In tanti vedono numerosi punti in comune fra lei e Bergoglio: durante il suo mandato sarà quindi una Cei anche “a misura” di Papa Francesco?
“Come di qualunque Papa, che è il primate della Cei, dei vescovi di Italia, ognuno con la sua caratteristica, interrogandosi, rispondendo alle domande, al mondo che cambia, con le risposte adeguate ai vari tempi. Se prendessimo un documento della chiesa di cinquecento anni fa, forse oggi non lo applicheremo più. Questa si chiama comunione”.
A proposito di Bergoglio: in molti sono preoccupati per le sue condizioni di salute, c'è persino chi parla di dimissioni. Lei, che ha certamente un filo più diretto, sa dirci qualcosa in più?
“Credo che con Papa Francesco siano impossibili le interpretazioni, perché è così diretto, così chiaro. Dice tutto, preferisce non farsi operare, deve aspettare l'effetto delle terapie. E credo che da questo punto di vista ci aiuta anche a liberare di una cosa, il dietrismo. Perché è assolutamente trasparente. Certo, penso che sia una situazione non facile per chiunque quella di ritrovarsi da camminare a usare la sedia a rotelle, quindi accompagniamolo a maggior ragione con molto affetto e con molta preghiera”.
In definitiva, quali saranno le parole d'ordine del suo mandato alla guida della Cei?
“Il cardinal Bassetti, nell'ultimo intervento del suo quinquennio, ha parlato di comunione e missione. Direi che sono due importantissime parole d'ordine. La chiesa non vive mai per sé stessa, ma lavora. Non c'è tempo da perdere, c'è tanto da fare per un mondo così in difficoltà”.