Il pizzo anche durante il lockdown ma nessuno denunciava, 16 arresti per mafia a Palermo

Un territorio pesantemente condizionato dalla presenza mafiosa di cosa nostra, dove gli stessi imprenditori e commercianti sentivano l’esigenza di “essere autorizzati” dal referente mafioso della zona prima di aprire una attività e dove tutti pagavano il pizzo in silenzio anche durante il lockdown covid. È quanto hanno scoperto polizia e carabinieri a Palermo dove questa mattina, su delega della Procura di Palermo, sono state arrestate sedici persone ritenute a vario titolo responsabili dei reati di associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

L’operazione antimafia, scattata al termine di due anni di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ha decapitato i vertici della mafia di Brancaccio, Ciaculli e Roccella. In carcere infatti sono finiti i capi del mandamento di Ciaculli (ex Brancaccio) e delle famiglie di Brancaccio e Roccella. Durante le lunghe e complesse indagini, svolte grazie alla capillare conoscenza del territorio e purtroppo senza alcuna denuncia da parte delle vittime delle estorsioni, gli inquirenti hanno individuato capi e gregari delle famiglie mafiose della Roccella e di Brancaccio ricostruendo più di 50 episodi estorsivi in danno di altrettanti commercianti e imprenditori della zona.
Il pizzo durante il lockdown
Nessuno veniva risparmiato dai mafiosi: dai bar alle discoteche, dalle macellerie e piccoli alimentari, dai supermercati ai panifici e addirittura le farmacie, tutti pagavano il pizzo. In alcuni casi, come ricostruito dagli inquirenti, i commercianti si sono preoccupati di non figurare nel “libro mastro” delle estorsioni per evitare di essere coinvolti in eventuali retate della polizia. Persino durante l’emergenza epidemiologica e il lockdown, i pochi negozianti rimasti aperti versavano il pizzo ai mafiosi nonostante i volumi di affari si erano ridotti tantissimo. Anche in questa occasione purtroppo nessuna vittima del racket ha presentato denuncia alle forze dell'ordine. Del resto i gruppi mafiosi sono potenti e hanno dimostrato di poter controllare ampiamente il territorio in tutti i settori legali e illegali, imponendo ad esempio lo spaccio di stupefacenti ma anche la compravendita di immobili.
L'egemonia dei Greco
"Le indagini hanno accertato lo spostamento del baricentro di influenza del mandamento di Brancaccio verso la famiglia mafiosa di Ciaculli, governata dai Greco, che, dopo gli eventi della seconda guerra di mafia, forte della propria eredità storica assicurata dalla parentela con il ‘papa' Michele Greco e della ritrovata autorevolezza dei vertici del mandamento, punta a riacquisire l'egemonia sul territorio palermitano, come evidenziato del tentativo di ricostituzione della commissione provinciale di Cosa nostra fortemente voluto da Leandro Greco" spiegano gli investigatori dell'Arma.
Il boss dice no alla bimba alla manifestazione per Falcone e Borsellino
Uno dei principali registi della riorganizzazione mafiosa era Maurizio Di Fede, il boss di Roccella, di cui gli inquirenti ricostruiscono una storia assurda: L'uomo si è scagliato contro una bambina di 7 anni, figlia di una sua amica, quando ha saputo che la bambina si stava preparando con la classe per partecipare a una manifestazione in ricordo della strage di Capaci. "Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino”, si sente urlare il boss in una intercettazione. "Noi qua non ci immischiamo con i carabinieri. Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino… queste vergogne sono” ripete l'uomo in diverse occasioni alla madre della bimba che insisteva perché la bimba voleva andare con gli amichetti. Il boss poi è tornato più volte a casa dei suoi amici, per accertarsi che la piccola non andasse. “Queste parole fanno emergere tutto l’odio verso i giudici simbolo della lotta a Cosa nostra. I mafiosi hanno fatto una scelta di vita, che portano avanti fino alla morte, non è possibile pensare che possano essere recuperati a un sentire diverso, tranne che non scelgano di collaborare con la giustizia. Queste intercettazioni ci ricordano altresì l’importanza delle attività sociali e culturali fatte con i giovani, per la diffusione di una nuova cultura della legalità” ha ricordato il prefetto Francesco Messina.