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Il piccolo Cocò, ucciso e bruciato a 3 anni dalla ndrangheta

Suo nonno, il boss della droga Giuseppe Iannicelli, lo portava sempre con sé per scoraggiare i sicari. Per questo, Cocò Campolongo, è stato ucciso a colpi di pistola insieme alla compagna di Iannicelli, Ibtissam, nella strage di Cassano all’Ionio del 16 gennaio 2014. Il bimbo, vittima innocente di mafia, aveva solo tre anni.
A cura di Angela Marino
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Cocò Campolongo
Cocò Campolongo

Cassano all'Ionio, 18mila anime ai confini del Parco nazionale del Pollino, in Calabria. È una sera come tante, Giuseppe Iannicelli, 14 anni, va in sala giochi a passare qualche ora. La sua è una famiglia ‘difficile’: la maggior parte dei suoi parenti sono in carcere per reati legati al traffico di droga, compresa sua madre. Cresce praticamente da solo, al fianco la fidanzatina Eleonora, a casa il nipotino e il papà, Giuseppe Senior, boss della droga del Cosentino, l'unico a piede libero.

La storia del piccolo Cocò Campolongo

Quando quella sera Giuseppe non trova il papà ad attenderlo all'uscita dalla sala, lungo la schiena sente corrergli uno strano brivido. Lo cerca dal suo autista, dai suoi ‘soci', a casa della sorella e nella casa dove Iannicelli vive con il piccolo Nicola, Cocò di tre anni, il figlio della figlia Antonia, che il Tribunale gli ha affidato dopo l'arresto della ragazza per spaccio di droga. Giuseppe chiama al cellulare, ma è muto, prova a chiamare quello di Ibtissam, la giovane compagna di suo padre, ma anche quello è staccato. Fa avanti e indietro, ma di Peppe Iannicelli senior non ci sono tracce. Mentre cerca suo padre, quella sera, Giuseppe junior sente un acre odore di carne bruciata provenire da lontano, in corrispondenza di una colonna di fumo nero che si alza nelle campagne di Cassano. Oltre quella nube che intorbida l'aria, davanti a un casolare, c'è la carcassa di un'auto che brucia con i corpi di tre persone: Peppe Iannicelli senior, la sua giovane compagna e un corpicino piccolo piccolo che sembra un bambolotto: quello di Cocò, tre anni, nato in carcere e morto in un agguato.

Cocò giustiziato insieme al nonno dalla ndrangheta

È il 16 gennaio 2014, giorno infausto nel calendario dei delitti di ndrangheta: il giorno in cui hanno ammazzato un bambino innocente di tre anni. Secondo le indagini medico legali i tre sono stati prima freddati a colpi di pistola e poi dati alle fiamme per eliminare ogni traccia dei killer. Una morte riservata ai capi e infatti, Iannicelli, era l'uomo della droga che si divideva il monopolio dello spaccio tra Firmo, Lungro ed Acquaformosa con la famiglia Abruzzese, gli' Zingari'. Peppe sapeva di essere al centro di un mirino, tanto che non si muoveva mai senza portare con sé ‘la donna' e il ‘bambino', il piccolo Cocò, sangue del suo sangue, di fronte al quale di certo non gli avrebbero mai sparato. Falso. Perché i due killer che hanno affiancato l'auto e che l'hanno costretta a fermarsi davanti al casolare, non si sono fatti scrupoli a trucidarlo di fronte a un bimbo di tre anni e a eliminarlo come qualsiasi testimone.

Chi sono i colpevoli

C'è, tuttavia, un'imprescindibile verità investigativa in questa atroce esecuzione: il movente. Perché uccidere un bambino in tenera età per timore che possa testimoniare. Semplice, perché conosce i killer, perché saprebbe balbettarne i nomi. È dunque nel campo ristretto dei fedelissimi di Peppe Iannicelli che gli autori della strage di Cassano vanno cercati. Nel mirino del procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, a capo delle indagini, finiscono due personaggi: Cosimo Donato detto "Topo" e, Faustino Campilongo detto "Panzetta" due gorilla che spacciavano droga per Iannicelli, il primo dei quali è anche il padre di Eleonora, la fidanzatina di Giuseppe junior. I due vengono incriminati nell'ottobre del 2015, quasi un anno dopo i fatti, per strage e distruzione di cadavere. Al processo,  Giuseppe verrà chiamato a testimoniare di quella terribile notte, mentre nella gabbia riservata ai detenuti la mamma e la sorella piangono a ogni singola parola. Tocca a lui raccontare come i due killer, freschi di polvere da sparo e benzina, gli avessero detto tranquillamente di non aver visto il padre, di come Eleonora poi lo avesse lasciato, di come soltanto dopo tanto tempo avesse collegato tutti quei fatti.

Due ergastoli per la morte di Cocò

Nel 2019 Cosimo Donato detto "Topo" e, Faustino Campilongo vengono condannati dalla Corte d'Assise di Cosenza, all'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi. Per Antonia, figlia e madre di due vittime, è stata disposta la detenzione domiciliare. “Gli anni passano e il pensiero di te non mi abbandona mai – ha scritto Antonia in una lettera al suo bambino – il mio cuore continua a sanguinare e la tua assenza non sarà mai colmata, troverò pace soltanto quando la mia anima sarà con te, figlio mio, in cielo tra le nuvole, per sempre. Il mondo, il paese si è dimenticato di te, dell’atrocità che hai subito, ma io no, il cuore di madre non si rassegnerà mai alla morte di un figlio”.

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