Quando Luigi Bonaventura apre la porta della sua abitazione di Termoli io e il collega Peppe Pace ci fermiamo un attimo, come a chiederci: “Stiamo facendo la cosa giusta?”. Prima di giungere a casa del pentito di ‘ndrangheta varie persone ci avevano messo in guardia: “non era un reggente”, “raccoglieva ferri per strada”, “esagera”. Parole che si inseriscono nelle nostre teste in loop come il refrain di una canzone in quattro quarti.
Abbiamo scambiato ore di conversazione prima di procedere con l'intervista, studiando gli appunti che lo stesso Bonaventura aveva raccolto – anni or sono – su dei quaderni visibili anche nella sua intervista a RaiNews24 del 2011. Quaderni colmi di nomi, appunti sparsi. Elementi, come quello dei finti pentiti – sotto cui appuntato c'era il nome di Antonino Lo Giudice – che la Direzione Nazionale Antimafia e i magistrati di ben 9 procure (Catanzaro, Bologna, Reggio Calabria, Campobasso, L'Aquila, Torino, Bari, Salerno e la tedesca Stoccarda) hanno utilizzato come base per le operazioni Heracles, Perseus, Hydra, Pandora, Icaro, Ghibli, Tramontana, Breakfast, Apocalypse now, che hanno condotto a centinaia di arresti.
Luigi Bonaventura, assistito dagli avvocati Ruggiero Romanazzi e Giulio Calabretta – il primo presente durante la nostra intervista -, ha parlato dell'intreccio ‘ndrangheta-politica, della coincidenza di interessi tra i membri della mafia calabrese e quei politici che costantemente attaccano la magistratura al fine di delegittimarla. Non è un caso che – stando ai suoi racconti – appartenenti alla cosca De Stefano-Tegano l'avrebbero avvicinato “proponendogli” di “redimersi” diventando un falso pentito per fare i nomi, oltre che di Giulio Cavalli, dei giudici Giuseppe Pignatone, Nicola Gratteri, Pier Paolo Bruni, Giuseppe Lombardo e i commissari Renato Cortese e Rodolfo Ruperti.
Luigi Bonaventura sarebbe dovuto essere il falso pentito che, in prima persona o individuando altri conniventi, avrebbe dovuto screditare i pm delle procure calabresi. Ovvero, stando alle dichiarazioni odierne e agli appunti datati 2011 del Bonaventura, ciò che avrebbe fatto prima della sua sparizione anche Antonino Lo Giudice, il superpentito che si è "pentito di essersi pentito", che non solo ha ritrattato le dichiarazioni ma anche accusato alcuni magistrati di Reggio Calabria di avergliele estorte. Bonaventura afferma che Lo Giudice è uno di quei falsi testimoni di giustizia che la ‘ndrangheta usa per minare le indagini dei giudici e attaccare la magistratura tout court. Un interesse che collimerebbe con quello di una certa parte politica e che sarebbe ricompensato a suon di voti. Parte politica che stando alle parole di Boanventura, non avrebbe alcun interesse affinché al programma di protezione siano forniti gli strumenti giusti per funzionare davvero.
Mentre andiamo via ripenso alle parole dette in camera e fuori. Ripenso al dubbio che avevamo prima di salire al suo ruolo all'interno dei Vrenna-Bonaventura, al sistema di protezione che vede un pentito lasciato solo con la sua famiglia alla mercé di chiunque voglia avvicinarlo e solo allora i suoi appunti, la sua mediacità hanno un senso: quello di proteggere sé stesso e la propria famiglia con ogni mezzo possibile.