Di Giorgio De Girolamo
Siamo ancora nell’Olocene, l’era geologica che ci accompagna da poco meno di 12mila anni. Dopo 15 anni di dibattito interno alla comunità scientifica sull'Antropocene, il risultato è stato nettissimo: su 18 votanti nella commissione internazionale incaricata di analizzare le stratigrafie che dimostrerebbero l'apertura di una nuova era geologica, 12 hanno espresso il proprio parere contrario, mentre 4 hanno votato a favore e 2 sono stati gli astenuti. Ciononostante c’è chi si appella a delle presunte irregolarità per annullare la procedura di voto, a cui peraltro, se anche avesse avuto successo, sarebbero dovute seguire altre votazioni in altri organi della commissione. In ogni caso la questione, dal punto di vista strettamente geologico, sembra essere temporaneamente conclusa.
Ma che cos’è l’Antropocene? Da vari anni al centro del dibattito pubblico, anche grazie all’opera di divulgazione dei membri dell’Anthropocene Working Group “sconfitti” dal voto dei giorni scorsi, trattasi di una nuova era geologica di cui si chiedeva la formale approvazione.Con esso si intende l’epoca in cui gli umani sono divenuti il principale fattore di influenza stratigrafica, un vero e proprio agente geologico (e non più solo biologico) in grado di determinare l’ambiente del pianeta.
Per intendersi: pozzi, perforazioni, megalopoli, disastri ambientali, residui dell’urbanizzazione. Non meri passaggi del nostro transito su un pianeta ospitante, ma segni indelebili visibili a distanza di milioni di anni.
Ci vorranno probabilmente ancora vari anni per arrivare ad un voto positivo. Servono più prove, quelle addotte fino ad oggi paiono agli esperti evidentemente insufficienti, e giustamente gli scienziati fanno il loro lavoro, e la geologia per definizione è la scienza che prende a riferimento scale temporali che si misurano come minimo in millenni. E il punto è proprio questo: la velocità con cui è aumentato l'impatto umano sul pianeta, potrebbe ancora non essersi depositato in una stratigrafia visibile.
È necessario inoltre individuare un momento di inizio in cui sia chiaro l’ingresso nella nuova era. La proposta avanzata nel 2009 lo individuava in particolare nei sedimenti di plutonio rinvenuti nei fondali di Crawford Lake, in Ontario, e derivanti dai test delle bombe a idrogeno. Tra le altre prove le microplastiche, i pesticidi, le ceneri da combustione delle fonti fossili.
Anche chi ha nutrito scetticismo nel sostenere che fosse individuabile un momento di inizio dell’Antropocene come epoca geologica, lo riduce a una questione squisitamente scientifica, una ineludibile rigidità di metodo. Tra loro anche Erle C. Ellis, scienziato ambientale presso l’Università del Maryland. “Questo non ha niente a che fare con l’evidenza che gli esseri umani stanno cambiando il pianeta – ha detto al New York Times, primo quotidiano a riportare la notizia – Questa evidenza continua solo a crescere”.
L’Antropocene è morto in una commissione ma è indiscutibilmente il tempo in cui viviamo.
Poi le scienze naturali non sono le uniche ad aver fatto proprio il concetto, che anche nell'ambito delle scienze umane ha visto un accesso dibattito, e un successo anche per opposizione. C'è chi ad esempio come Jason W. Moore parla di Capitalocene, o chi come Marco Armiero preferisce il termine Wasteocene. Basta pensare che, dopo gli scienziati che hanno contribuito a diffondere l'utilizzo del termine Eugene F. Stoermer e poi Paul Crutzen, l'intellettuale che più di tutti ha fatto propria la categoria di Antropocene è stato uno storico come Dipesh Chakrabarty.
Anche se per i geologi l'Antropocene non è ancora iniziato ufficialmente, appare oggi una definizione insostituibile, assieme al dibattito che ha generato, per capire la crisi climatica che stiamo vivendo. In attesa del formale ingresso nell’Antropocene, sappiamo già di viverci dentro. E cerchiamo le vie per uscirne e ridurne i più dannosi impatti.