"Devo incontrare una persona importante". Questa frase, scritta da Marina Balboni, sul suo diario, è l'unica testimonianza che conserviamo sul ‘mostro di Modena', il serial killer che tra il 1983 e il 1995, avrebbe ucciso dieci donne. ‘Avrebbe', perché non è mai stato provato che quei delitti fossero tutti opera della stessa mano.
Modena, anni Ottanta
Quando tutto inizia siamo nella più florida Emilia-Romagna degli anni anni Ottanta, a Modena, culla di benessere e civiltà. È ai margini, sociali e letterali della città, in una via isolata del quartiere Sacca che avviene il primo delitto di una lunga serie. È il 1983 quando Filomena Gnasso, prostituta, viene trovata cadavere con ferite da coltello. Per vivere batteva i marciapiedi, il delitto viene ascritto al racket della prostituzione, resta insoluto. La città, indifferente alla sofferenza di quel popolo della notte di emarginati, prostitute e criminali, va avanti. Il 21 agosto 1985, due anni dopo, nelle vicinanze della fornace abbandonata di Baggiovara, spunta un altro corpo, quello di Giovanna Marchetti, 19 anni, trovata con il cranio fracassato da una grossa pietra.
Il mostro guida una 131
Passano due anni, è il 12 settembre 1987 quando a morire è la giovanissima Donatella Guerra, 22 anni, trovata senza vita a San Damaso, anche lei colpita con un'arma da taglio, un colpo al cuore e uno alla gola. La procura chiude il caso in 40 giorni tralasciando di approfondire un indizio importante rilevato dalla scientifica sulla scena del delitto. Si tratta delle impronte, accanto al cadavere, di uno pneumatico compatibile con un particolare modello di auto, la ‘Fiat 131'. Un'auto discreta, in genere di colore blu ministeriale e talvolta utilizzata da funzionari di stato o, nel colore verde, da poliziotti, carabinieri e militari. Non è il solo indizio a restare ignorati. Altri indizi vengono ignorati. L'attitudine mancina del assassino dedotta dall'autopsia, per esempio, come pure l'andatura claudicante suggerita dalle impronte di scarpa.
Il diario: "Ho un incontro importante"
Dopo aver archiviato anche le indagini su questa seconda morte, un'altra va in scena il 1° novembre 1987, due mesi dopo quella di Donatella e decisamente troppo presto rispetto agli intervalli registrati fra un delitto e l'altro. Stavolta si tratta di Marina Balboni, 21 anni, tossicodipendente strangolata con il foulard giallo che portava al collo. Era stata lei a scrivere sul quaderno di avere appuntamento ‘con una persona importante', persona che poi si era rivelata essere il suo assassino. Dall'ostinazione mostrata verso i genitori, che non volevano che uscisse, alle parole che aveva lasciato in eredità al suo diario, sembra che Marina avesse una certa considerazione della persona che doveva incontrare. E che non la temesse.
A Modena nessuno cerca un serial killer
Nessuno ci fa attenzione. Forse perché in quei mesi nessuno unisce i puntini tra quelle morti, nessuno ha in mente d'incrociare dati, fare confronti. Ciascun delitto resta episodio singolo radicato nel suo contesto malato e vagamente criminale, tra ragazze dipendenti dall'eroina, pusher, sfruttatori, balordi. Nessuno si accorge di quelle morti, nessuno se ne preoccupa, perché la Modena bene, come grida la mamma di Marina Balboni, crede che i propri figli siano il sicuro, ché le cose brutte accadono solo a ‘quelle ragazze là'. A quelle pronte a bruciare se stesse sull'altare della droga.
Una morte sospetta
Nessuno, dunque, nota una evidente anomalia nel corso degli eventi. Marina è stata uccisa 60 giorni dopo, Marina conosceva Donatella e, come emergerà dopo, si trovava nello stesso luogo quando è stata uccisa. Che Balboni potesse essere una vittima ‘necessaria' e non preferenziale, in quanto testimone di un altro delitto, è un'idea che comincia a promuovere qualcuno che sta seguendo il caso da un punto di vista diverso, quello giornalistico.
Il mostro di Modena
Si chiama Pier Luigi Salinaro ed è un cronista di nera della Gazzetta di Modena. È lui che sdogana finalmente la tesi del serial killer. Sui giornali si comincia a parlare del killer ‘delle lucciole e i delitti si feramno, come se il killer volesse perdersi una pausa, uscire dai radar. Non dura molto. Due anni dopo appare il corpo di Claudia Santachiara, 24 anni, strangolata e trovata cadavere il 30 maggio del 1989 in un vicolo alla periferia di Panzano. Nuda, al collo solo il laccio usato per strangolarla. È proprio il modello di comportamento del ‘mostro di Modena'.
La vittima che si stacca dal modello
Un anno dopo, l'8 Marzo 1990, puntuale, viene rinvenuto il corpo di Fabiana Zuccarini, 21 anni, dipendente dalle droghe, viene trovata strangolata vicino a Staggia di Bomporto. È l'unica che si stacca dal modello. Fabiana, infatti, non si prostituiva. Stavolta passano solo pochi mesi fino al delitto successivo, il 13 ottobre 1990, quando Antonietta Sottosanti viene trovata soffocata con una calza di nylon in gola. Il 4 febbraio 1992 a San Prospero, nella bassa modenese, Anna Abruzzese, 32 anni, viene trovata morta. Anche in questo caso le indagini cadono dopo pochi giorni.
Un poliziotto nel mirino
Per la ventunenne Annamaria Palermo, morta con 11 coltellate al cuore, in un fosso di Corlo, ci sarà, invece, un processo, ma anche stavolta la giustizia sfumerà via con il nulla di fatto di un'assoluzione. A gettare squarci di luce sul caso, è un altro delitto, l'omicidio di Monica Abate, prostituta tossicodipendente strangolata il 3 gennaio 1995, nel letto di casa, in uno scenario che simula l'overdose. Come stabilirà l'autopsia la ragazza aveva assunto droga ore prima e non era morta per una dose eccessiva. Sarà Romana Caselli, la madre della vittima a tenere desta l'attenzione sul caso, ottenendo che la Procura ascolti importanti testimonianze.
Una mamma coraggio
Tra queste quelle di alcune amiche della vittima che rivelarono i loro sospetti su uno dei poliziotti che aveva avuto una relazione con Monica Abate. L'agente venne accusato di favoreggiamento e spaccio di droga, ma il suo coinvolgimento si limitò a questo. Nonostante gli appelli di mamma Romana anche la morte di Monica verrà archiviata: "Perché? Mia figlia si drogava e per questo, come le altre ragazze uccise, è stata sempre considerata vittima di serie B". Monica Abate è l'ultima vittima di un killer che forse è morto, è stato arrestato o semplicemente ha deciso di smettere di uccidere per non essere preso. Nel 2019 il procuratore capo di Modena Paolo Giovagnoli ha deciso di aprire un'indagine su quei delitti.