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Mostro di Firenze

Il Mostro di Firenze, la storia del caso irrisolto: le ipotesi su chi è il serial killer e le sue vittime

Il caso irrisolto del Mostro di Firenze, il serial killer mai identificato autore di otto duplici omicidi commessi fra il 1968 e il 1985, resta uno dei più famosi della storia italiana. L’assassino prese di mira e uccise a colpi di pistola coppie di giovani in luoghi isolati nella provincia di Firenze. Per i delitti furono condannati Pietro Pacciani e due suoi amici, i cosiddetti ‘compagni di merende’. Ma restano ancora tanti punti da chiarire.
A cura di Eleonora Panseri
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Dopo tanti anni quello del Mostro di Firenze, il serial killer autore di otto duplici omicidi commessi fra il 1968 e il 1985, resta ancora uno dei più famosi casi irrisolti della storia italiana.

L'assassino prese di mira e uccise coppie appartate in luoghi isolati nella provincia di Firenze con una pistola Beretta calibro 22 e munizioni Winchester marcate con la lettera “H” sul fondello del bossolo. Spesso le vittime subirono anche ferite da taglio e in diversi casi l’assassino asportò il pube e il seno delle donne.

Il primo duplice omicidio attribuitogli fu quello di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, commesso il 21 agosto 1968. Il 17 gennaio 1993 venne arrestato Pietro Pacciani con l'accusa di essere l'omicida delle otto coppie. Successivamente condannato in primo grado e assolto in appello, morì alla vigilia del secondo processo d'appello, richiesto dalla Cassazione.

Antonio Lo Bianco e Barbara Locci
Antonio Lo Bianco e Barbara Locci

Due suoi amici, noti alle cronache come “compagni di merende”, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, vennero condannati per quattro degli otto duplici omicidi commessi. Gli altri amici di Pacciani, Vanni e Lotti, Fernando Pucci e Giovanni Faggi, vennero riconosciuti estranei ai fatti.

Pietro Pacciani durante il processo
Pietro Pacciani durante il processo

Nel caso, che presenta ancora molti punti da chiarire, potrebbe esserci una svolta: di recente infatti un Dna sconosciuto è stato ritrovato su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime del Mostro di Firenze, uccise dentro la loro tenda agli Scopeti, nel comune di San Casciano Val di Pesa.

Jean Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot
Jean Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot

Chi è il Mostro di Firenze e come uccideva le coppie

Il Mostro di Firenze fu il primo vero assassino seriale nella storia italiana, gli omicidi e le indagini ebbero vasta copertura mediatica sia all'epoca dei fatti che durante i processi contro i presunti responsabili. L'importanza del caso fu tale da influenzare pesantemente le abitudini della popolazione residente nella provincia di Firenze negli anni '80, la quale iniziò a evitare di appartarsi in luoghi isolati.

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Come già detto, tra il 1968 e il 1985 l'assassino uccise 8 coppie che si trovavano in luoghi isolati nella provincia di Firenze. Per compiere i delitti venne utilizzata sempre una pistola Beretta calibro 22 (mai trovata) e munizioni Winchester marcate con la lettera “H” sul fondello del bossolo.

In ogni duplice omicidio furono colpiti prima gli uomini e poi le donne, sui corpi vennero rinvenute anche ferite da taglio. Le vittime di sesso femminile in molti casi subirono anche asportazioni del pube e del seno.

I delitti vennero commessi in strade di campagna o piazzole boschive appartate nei dintorni di Firenze: a Signa, Borgo San Lorenzo, Scandicci, Campi Bisenzio, Prato, Calenzano, Sesto Fiorentino, Baccaiano, Giogoli, Vicchio, Scopeti.

Le vittime del mostro di Firenze: le 8 coppie e l’unico sopravvissuto

I primi a morire furono Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, lui muratore di 29 anni, lei casalinga 32enne, nella notte di mercoledì 21 agosto 1968. I corpi vennero trovati all'interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa. I due, residenti nel Comune di Lastra a Signa, erano amanti.

Al momento dell'aggressione sul sedile posteriore dell'auto si trovava il figlio di Locci, Natale, 6 anni, avuto con il marito Stefano Mele, un manovale sardo emigrato in Toscana. Il 29enne e la 32enne furono raggiunti e uccisi da otto colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata: quattro colpirono lei e quattro lui. Nel 1970 Mele fu condannato per il duplice omicidio a 14 anni di carcere e solo negli anni '80 il delitto venne attribuito al Mostro: i bossoli rinvenuti sul luogo risultarono infatti identici a quelli trovati sulle altre scene.

Diversi anni dopo, il 14 settembre 1974 a Sagginale vennero uccisi nella loro auto in una strada sterrata Pasquale Gentilcore, 19 anni, e Stefania Pettini, 18. Lui fu colpito da cinque proiettili e ferito con un coltello, lei tre. La ragazza in fin di vita venne portata fuori dall’auto e accoltellata decine di volte. Nella vagina le venne infilato un tralcio di vite e le furono asportati il seno sinistro e il pube.

Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini.
Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini.

Nel 1981 a Scandicci nella notte tra il 6 e il 7 giugno a morire furono Giovanni Foggi, 30 anni, e Carmela De Nuccio, 21, i due fidanzati si erano appartati a loro volta in auto. Furono uccisi a colpi di pistola e a De Nuccio il killer asportò il pube.

Dopo il delitto fu sospettato e arrestato un uomo, Vincenzo Spalletti, un autista di ambulanze noto come guardone della zona, la cui autovettura era stata vista nei pressi del luogo del delitto e che aveva raccontato in un bar di aver scoperto due cadaveri fornendo particolari che non risultavano ancora noti al pubblico.

Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio
Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio

Fu tuttavia scagionato perché a distanza di pochi mesi, mentre si trovava in carcere, venne commesso un secondo omicidio. A ottobre fu infatti uccisa a Calenzano un'altra coppia di fidanzati, con le stesse modalità della prima. Le vittime furono Stefano Baldi, 26 anni, e Susanna Cambi, 24.

Stefano Baldi e Susanna Cambi
Stefano Baldi e Susanna Cambi

Solo un anno dopo il 22enne Paolo Mainardi e la 19enne Antonella Migliorini vennero aggrediti dal Mostro. I due si trovavano in auto a Baccaiano, fermi in uno slargo di una strada provinciale all'interno della loro auto. Tuttavia, i colpi rivolti contro Mainardi non l'uccisero subito e il ragazzo tentò la fuga.

Ma l’assassino sparò ancora, colpendo nuovamente i due: uccise Migliorini, ma non ebbe il tempo di mutilare il corpo della ragazza. La macchina venne infatti ritrovata dopo poco, il giovane era ancora vivo ma morì il giorno dopo in ospedale.

Antonella Migliorini e Paolo Mainardi
Antonella Migliorini e Paolo Mainardi

Il 9 settembre 1983 a Giogoli morirono due turisti tedeschi, Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch. Entrambi di 24 anni, i due ragazzi erano studenti presso l'Università di Münster e morirono all'interno di un furgone Volkswagen. Forse scambiati per una coppia (uno dei due portava i capelli lunghi), furono uccisi con sette colpi di pistola, ma i corpi non vennero mutilati.

Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch.
Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch.

A distanza di un anno due nuove vittime: Claudio Stefanacci, 21 anni, e Pia Gilda Rontini, 18, morirono nel luglio 1984 mentre si trovavano sul sedile posteriore della loro Fiat Panda parcheggiata in una strada nei pressi di Vicchio, uccisi in un momento di intimità.

Il ragazzo fu colpito in tutto da quattro proiettili, uno alla testa; la ragazza riuscì a fuggire ma venne colpita alla schiena e in fronte. Anche il corpo di Rontini venne mutilato, mentre su quello del 21enne furono inferte una decina di coltellate.

Claudio Stefanacci e Pia Rontini
Claudio Stefanacci e Pia Rontini

L'ultimo duplice delitto avvenne in località Scopeti, le vittime furono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvili, 25 anni, e Nadine Mauriot, 36 anni. Vennero aggrediti la notte dell'8 settembre 1985, mentre si trovavano all'interno della loro tenda.

Dopo i primi spari, il ragazzo cercò di fuggire ma venne ucciso da altri colpi di pistola, mentre la ragazza morì all'interno della tenda e venne mutilata come nei casi precedenti. Qualche giorno dopo la scoperta dei corpi la Procura di Firenze ricevette una busta anonima contenente un lembo di seno sinistro di Mauriot.

Le indagini: dalla pista sarda al processo a Pietro Pacciani

Per diverso tempo, dopo il duplice omicidio del 1968, gli inquirenti seguirono la cosiddetta ‘pista sarda'. Dopo un'iniziale confessione seguita da alcune ritrattazioni e poi da una nuova confessione, Stefano Mele, marito di Barbara Locci, venne condannato in via definitiva dal Tribunale di Perugia il 12 aprile 1973.

Nel 1982, all'interno del fascicolo su Mele, vennero rinvenuti cinque bossoli e cinque proiettili che risultarono sparati dalla stessa arma usata nei delitti del Mostro. Mele però era già in carcere nel 1974 (quando furono uccisi Gentilcore e Pettini) e per questo le indagini si indirizzarono nei confronti di coloro che già nel 1968 erano stati indicati da Mele come responsabili del primo delitto, tutti di origine sarda.

Stefano Mele
Stefano Mele

Mele accusò fra gli altri Francesco Vinci, che a suo tempo era stato amante di Locci e che nell'agosto 1982 era in carcere per maltrattamenti nei confronti della moglie. Ma dopo l'omicidio dell'1983 fu scagionato dall'accusa. Dieci anni dopo fu trovato assassinato insieme con un amico, Angelo Vargiu, in una pineta nei pressi di Chianni. L'inchiesta si chiuse nel 1989 con un nulla di fatto.

Nel 1991 la SAM (Squadra Anti-Mostro), il gruppo di forze dell'ordine che indagava esclusivamente sugli omicidi del Mostro dal 1984, cominciò invece a indagare su Pietro Pacciani, nato ad Ampinana di Vicchio il 7 gennaio 1925, ex partigiano chiamato ‘Il Vampa' per il suo carattere irascibile. All'epoca l'uomo era in carcere dopo essere stato condannato per lo stupro nei confronti delle sue due figlie. Una lettera anonima risalente al 1985 invitava gli inquirenti a indagare su di lui e per questo la casa di Pacciani all'epoca venne perquisita senza tuttavia esito positivo e questa pista venne abbandonata.

L'uomo aveva già dei precedenti. Nel 1951, a 26 anni, sorprese l'allora fidanzata, Miranda Bugli, 16, in atteggiamenti intimi con un altro uomo, Severino Bonini. La ragazza disse di essere stata violentata e Pacciani uccise Bonini con 19 coltellate: venne condannato a 8 anni di carcere, la ragazza a 5. Uscito di prigione nel '64, tornò a vivere a Vicchio insieme alla madre, rimasta nel frattempo vedova. Il 25 giugno 1965 sposò a San Godenzo Angiolina Manni, dalla quale ebbe le figlie Rosanna e Graziella.

Nel 1993 Pacciani venne dunque accusato di essere il responsabile dei delitti. Gli inquirenti si convinsero, accumulando indizi, che fosse lui il killer e che avesse ucciso le coppie per rivivere il delitto del 1951, accanendosi particolarmente sulla donna che simboleggiava l'ex fidanzata che lo aveva tradito. Gli indizi a suo carico furono diversi, Pacciani aveva inoltre legami con tutti i luoghi dove si consumarono i delitti. Inoltre deteneva una cartuccia trovata in giardino che sarebbe stata simile a quelle usate dal responsabile degli omicidi. Anche le sequenze temporali rendevano plausibile l'ipotesi.

Il processo ai ‘compagni di merende' di Pacciani

Pacciani venne arrestato il 17 gennaio 1993 e dopo un lungo processo fu condannato in primo grado a più ergastoli per i duplici omicidi commessi dal 1974 al 1985 e successivamente assolto in appello. Morì prima di essere sottoposto a un nuovo processo di appello, dopo l'annullamento nel 1996 della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione.

Pietro Pacciani
Pietro Pacciani

L'inchiesta avviata agli inizi degli anni Novanta dalla procura di Firenze portò anche alla condanna in via definitiva nel 1999 di due uomini identificati come autori materiali di 4 dei duplici omicidi, i cosiddetti "compagni di merende" e amici di Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti (reo confesso). Ritenuti estranei ai fatti invece altri due appartenenti al gruppo, Fernando Pucci e Giovanni Faggi.

Al di là di quanto sancito dalla sentenza definitiva, bisogna precisare che sulle numerose scene del crimine del Mostro non sono state riscontrate prove quali Dna e impronte digitali riconducibili ai ‘compagni di merendep, né sono state mai rintracciate l'arma del serial killer o le parti anatomiche asportate ad alcune delle sue vittime.

Le procure di Firenze e, nei primi anni 2000, di Perugia, sono state impegnate in numerose indagini volte a individuare i responsabili esecutori materiali dei duplici omicidi e poi i possibili mandanti. Le indagini si sono focalizzate anche su un possibile movente di natura esoterica, che avrebbe spinto una o più persone a commissionare i delitti, senza però arrivare ad alcun riscontro oggettivo.

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